Le guerre dell’oppio – parte 3 – MN #324

Siamo alla terza puntata della serie sulla guerra dell’oppio e mano a mano che proseguiremo con questa serie, vi sarà chiaro il motivo per cui ho scelto questo titolo particolare. Come promesso, intendo completare questa serie prima di passare ad altri argomenti. In questa terza puntata, faremo una carrellata storica sulla Cina del XVI secolo, prima del suo gemellaggio con l’impero spagnolo, per capire meglio perché la popolazione cinese volesse usare l’argento come forma primaria di pagamento. Naturalmente, è opportuno vedere le altre due puntate nel caso non le abbiate viste oppure ve le foste dimenticate, in modo da avere una sequenza completa. Ora ecco la parte del documentario.

Una storia di imperi che crollano per collasso economico

Il mondo in cui stiamo entrando vede il confronto diretto tra due superpotenze: la Cina e gli Stati Uniti, che sono state legati per secoli in una storia di sviluppo economico comune che ha visto anche una forte partecipazione dell’Europa e, in particolare, del Regno Unito.

Per capire i possibili sviluppi futuri di questo confronto che coinvolge il mondo intero, dobbiamo conoscere e comprendere meglio la storia della Cina e la storia del denaro su carta che è stato inventato proprio in Cina, e del suo rapporto con il denaro metallico come il ferro, il rame, l’argento e, nei tempi recenti, l’oro.

Ci siamo ispirati, in parte, al libro storico “Fiat Paper Money: The History and Evolution of Our Currency” – “Denaro fiat su carta: la storia e l’evoluzione della nostra valuta” di Ralph Foster.

Il denaro fiat è qualsiasi forma di denaro imposta per autorità dello stato e senza alcun collegamento con forme di denaro tradizionali come l’oro e l’argento.

Nei due video precedenti di questa serie abbiamo visto il ruolo essenziale dell’argento nello sviluppo dell’impero cinese a partire dal 1588 e abbiamo visto come la comunione d’interessi tra l’impero spagnolo e quello cinese avesse portato grandi vantaggi ad entrambi, portandoli tuttavia anche a conflitti nei punti di contatto, come le Filippine, che ancora oggi rimangono un punto estremamente caldo nel confronto tra Cina e Stati Uniti.

Ricordiamoci inoltre che, di fatto, gli Stati Uniti hanno conquistato nel tempo la sfera d’influenza dell’impero spagnolo come pure la moneta, il dollaro e quindi ne costituiscono una prosecuzione nel tempo.

Abbiamo anche visto il periodo precedente alla grande svolta verso l’argento imposta dall’imperatore cinese nel 1588, e siamo tornati a circa 2000 anni fa quando l’impero cinese dell’epoca, l’impero Han, inventò la prima moneta su pelle di cervo per far fronte ad esigenze militari dovute alla continua espansione verso nuovi domini.

L’impero Han cadde ufficialmente nel 220 d.C., segnando la fine della dinastia Han orientale. L’ultimo imperatore Han, l’imperatore Xian, fu costretto ad abdicare da Cao Pi, che fondò lo Stato di Cao Wei.

Questa transizione portò al famoso periodo dei Tre Regni, in cui la Cina fu divisa in Wei, Shu e Wu. L’impero era già stato indebolito dalla corruzione interna, dai conflitti tra i signori della guerra e da ribellioni come quella del turbante giallo (184-205 d.C.). La storia cinese ci insegna che l’invasione esterna e l’avvicendamento dei regimi politici in Cina viene sempre determinata da rivolte e guerre interne.

L’epoca dei tre regni, infatti, fu segnata da intense guerre, intrighi politici e figure leggendarie. Alla fine, la dinastia Jin, che regnò dal 265 al 420 d.C., riunificò la Cina sotto Sima Yan, ponendo fine ai Tre Regni.

Dopo la dinastia Jin (265-420 d.C.), la Cina entrò nel periodo delle Dinastie del Sud e del Nord (420-589 d.C.). Quest’epoca fu segnata dalla divisione tra le Dinastie del Sud, governate da Stati cinesi Han, e le Dinastie del Nord, controllate da vari gruppi etnici non Han.

La prima dinastia a succedere ai Jin fu la dinastia Liu Song (420-479 d.C.), fondata da Liu Yu, un generale che costrinse l’ultimo imperatore Jin ad abdicare.

In questo periodo abbiamo visto nascere in Cina tre istituzioni finanziari che avrebbero usato la carta come sostituto per il denaro: il banco dei pegni, la società cooperativa di prestito e il negozio di denaro.

Queste istituzioni erano una parte familiare e fidata della vita quotidiana e favorivano l’attività commerciale, rendendo il denaro più ampiamente disponibile.

Alla Liu Song seguirono altre dinastie meridionali, tra cui le dinastie Qi, Liang e Chen. Nel frattempo, il nord vide l’ascesa della dinastia Wei del Nord, che ebbe un ruolo cruciale nell’unificazione della Cina settentrionale.

Questo periodo terminò quando la dinastia Sui (581-618 d.C.) riunificò la Cina, aprendo la strada alla potente dinastia Tang.

E, come abbiamo visto, è stato proprio durante il periodo della dinastia Sui che nacque il primo denaro su carta cinese usato per rituali e offerte agli antenati, abituando anche i singoli cinesi a usare la carta come forma di denaro, invece di lasciarla confinata al mondo dei mercanti.

La potente dinastia Tang regnò dal 618 al 907 dopo Cristo e prese progressivamente il controllo del denaro su carta, facendo leva sulle reti di credito già create dai mercanti.

L’epoca Tang è spesso considerata un’età d’oro della civiltà cinese, caratterizzata da progressi culturali, artistici e tecnologici.

L’invenzione del denaro volante facilitava gli scambi e la crescita economica, ma fu presto abusata dal governo che ne acquisì il controllo e aumentò dal 3 al 10 percento l’imposta sull’emissione del denaro il che provocò l’abbandono del denaro volante da parte dei mercanti e il ritorno alle monete su cui il denaro volante di basava.

La dinastia Tang fece rapidamente marcia indietro, ma ormai era troppo tardi e la dinastia crollò cedendo il passo alla dinastia Sung che regnò dal 960 al 1279 dopo Cristo.

I Sung mantennero il denaro volante e il 3 per cento di imposta, ma furono i primi ad emettere denaro su carta dello stato, garantito da monete di metallo. Ma presto l’emissione di questa cartamoneta sfuggì dal controllo e perse l’aggancio con le monete di metallo su cui si basava.

E’ interessante notare che il 3 percento è anche la percentuale addebitata ai mercanti dalle moderne carte di credito.

Come risultato della politica monetaria della dinastia Sung, diversi negozi del denaro privati fallirono e la gente perse i propri risparmi, una situazione peggiorata dal fatto che anche il denaro di ferro continuava ad essere svalutato dallo stato.

La dinastia Sung si impoverì come risultato dell’inflazione e, nel 1127, dovette cedere una parte importante del proprio territorio agli invasori Tartari del Nord, i Chin.

Quindi vediamo che l’uso di denaro su Carta aveva già provocato la caduta di tre imperi cinesi intorno all’anno 1000 e sarebbe stato presto responsabile per la caduta di altri imperi.

I Tartari Chin fondarono un nuovo Stato nel nord, con capitale a Chung-tu (l’odierna Pechino). Questa nuova dinastia, sebbene inizialmente di origine straniera, si adattò rapidamente al sistema cinese per consolidare il proprio potere.

Come la maggior parte degli invasori della Cina, i Chin assimilarono molte delle tradizioni culturali, sociali e amministrative del paese conquistato.

Tra queste, vi era l’adozione di innovazioni che facilitassero la gestione efficiente dello Stato, come l’uso della cartamoneta.

Il denaro di carta, un concetto rivoluzionario all’epoca, rappresentava un grande passo avanti nella gestione economica di un vasto impero. Gli amministratori Chin compresero l’importanza di adottare questa pratica per migliorare il commercio e il controllo sulle transazioni economiche.

Tuttavia, il passaggio dalla tradizionale valuta metallica a quella cartacea implicava non solo benefici, ma anche un considerevole rischio, in quanto richiedeva la fiducia del pubblico e una solida gestione finanziaria da parte dello Stato.

In tal modo, i Chin posero le basi di un sistema monetario che avrebbe avuto ripercussioni significative per secoli, non solo in Cina, ma anche oltre i suoi confini.

L’adozione della cartamoneta da parte di questa dinastia rifletteva il loro approccio pragmatico e visionario al governo di un territorio tanto vasto e diversificato.

I Chin iniziarono a emettere banconote chiamate chiao-ch’ao nel 1153.

La nuova moneta stabilì due precedenti storici cruciali: fu la prima a circolare senza scadenza temporale, superando il modello adottato dai Sung meridionali che prevedevano limiti di validità per le loro emissioni, la moneta chiao-ch’ao godeva anche di una protezione legislativa rigorosa.

Le leggi Chin proibivano categoricamente il rifiuto delle banconote di Stato e imponevano l’accettazione delle transazioni in cartamoneta, rafforzando la fiducia pubblica nel sistema, questa fu quindi la prima vera moneta fiat della storia.

Questo innovativo approccio alla gestione monetaria sottolineava la capacità dei Chin di adattarsi alle sfide amministrative di un vasto territorio.

Tuttavia, l’adozione della cartamoneta non era esente da rischi e implicava una complessa gestione economica e sociale per garantirne il successo.

Per il governo Chin, l’introduzione del chiao-ch’ao non era soltanto una questione economica ma anche una mossa politica, mirata a consolidare il controllo centrale e a facilitare il governo di una realtà geografica e culturale estremamente diversificata.

Gran parte delle nostre conoscenze sulla prima cartamoneta cinese proviene da scavi archeologici, che hanno portato alla luce reperti significativi come lastre di metallo utilizzate per la produzione di banconote.

Queste lastre erano caratterizzate da iscrizioni che riflettevano il rigore e la severità del sistema monetario dell’epoca.

Una di queste iscrizioni ammoniva: “I contraffattori saranno decapitati,” una misura draconiana che mirava a scoraggiare la contraffazione, un problema che il governo considerava grave.

Accanto a questa minaccia, un’altra iscrizione prometteva una ricompensa di ben trecento stringhe di denaro a chi avesse fornito informazioni utili per smascherare i contraffattori.

Vediamo che già allora la moneta fiat si basava sull’uso della forza e della violenza personale esercitata dallo stato sul singolo suddito.

Questi dettagli non solo evidenziano l’importanza attribuita alla cartamoneta, ma anche l’approccio severo e strutturato adottato dal governo Chin per garantire la sua stabilità e integrità economica.

L’adozione della cartamoneta era una sfida significativa, e il governo dovette trovare un equilibrio tra l’innovazione e il controllo rigoroso, cercando di prevenire abusi e mantenere la fiducia del pubblico nel nuovo sistema.

Questo periodo di sperimentazione monetaria avrebbe avuto ripercussioni determinanti non solo per la Cina, ma anche per gli sviluppi economici di altre civiltà.

Il governo cinese inventò anche nomi rassicuranti da stampare sulle banconote, un dettaglio che rifletteva il tentativo di stabilire un forte senso di fiducia e stabilità economica.

Troviamo i titoli più insoliti, che non erano solo funzionali, ma anche simbolici. Mentre *chiao-ch’ao* significava semplicemente “unità di scambio”, le emissioni successive adottarono denominazioni che evocavano prosperità e solidità. Tra i nomi più noti figuravano: *Banconote preziose dell’epoca Chen-yu*, *Tesoro circolante dell’epoca Chen-yu*, e ancora *Tesoro prezioso dell’epoca Yuan-kuang* e *Moneta preziosa dell’epoca Hsing-ting*.

Questi appellativi non erano scelti a caso, ma servivano a trasmettere un senso di continuità, ricchezza e ordine in un periodo di sperimentazione economica.

Ogni titolo era un riflesso dell’epoca di emissione e rappresentava un tentativo di ancorare il valore della cartamoneta a una narrativa di stabilità politica e finanziaria.

Tuttavia, nonostante i nomi elaborati e le leggi rigorose a supporto della cartamoneta, la fiducia pubblica nei nuovi mezzi di scambio era fragile e spesso minata dalle difficoltà operative e dalle sfide economiche che il governo Chin si trovava ad affrontare.

Per quarant’anni il chiao-ch’ao mantenne il suo potere d’acquisto, rappresentando un’innovazione epocale nel panorama economico e commerciale cinese. Nel 1192, l’imperatore Chin proclamò con enfasi che la cartamoneta emessa dal suo governo sarebbe sempre stata sostenuta da riserve di monete contanti e metalli preziosi, un’assicurazione che mirava a consolidare la fiducia del pubblico nella nuova forma di valuta.

Tuttavia, mentre pronunciava queste rassicuranti dichiarazioni, la realtà economica della tesoreria imperiale raccontava una storia diversa: le riserve di argento e oro erano quasi completamente esaurite.

La maggior parte delle risorse che avrebbero dovuto garantire il valore delle banconote erano state vendute o riscattate per far fronte alle difficoltà finanziarie dello Stato.

La cartamoneta, che era stata introdotta come una simbolica rappresentazione di ricchezza tangibile, si era gradualmente trasformata in una valuta fiat, sostenuta esclusivamente dall’autorità e dalla credibilità del governo.

Questo spostamento fondamentale non era privo di rischi: la mancanza di riserve concrete lasciava il sistema vulnerabile a qualsiasi pressione economica o politica. Sarebbe bastato un improvviso incremento delle spese statali o un calo della fiducia da parte del pubblico per far crollare l’intero sistema.

Nonostante i segnali di crisi imminente, il governo continuava a promuovere il chiao-ch’ao come una soluzione universale alle esigenze di uno Stato in espansione.

Tuttavia, gli amministratori Chin si trovavano di fronte a un dilemma crescente: come mantenere la stabilità economica e la fiducia pubblica in un sistema che si reggeva su fondamenta così fragili?

La situazione economica dell’epoca rifletteva la complessità di un impero che cercava di bilanciare innovazione e tradizione.

La cartamoneta rappresentava una promessa di modernità e progresso, ma allo stesso tempo metteva alla prova la capacità del governo di gestire le aspettative e i rischi associati alla sua adozione.

L’ombra di una crisi economica si stava lentamente materializzando, anticipando le difficoltà che avrebbero messo a dura prova la resilienza dello Stato Chin negli anni a venire.

Questa pressione arrivò dall’Occidente, all’inizio del XIII secolo, quando le armate mongole iniziarono a espandersi rapidamente verso est, minacciando la stabilità dell’Impero Chin.

Lo Stato Chin, trovandosi direttamente sulla strada di questa devastante avanzata, fu costretto a mobilitare risorse enormi per rafforzare le sue difese e sostenere le campagne militari.

Per finanziare queste operazioni, il governo ricorse all’unico strumento monetario disponibile: il chiao-ch’ao, la cartamoneta.

Tuttavia, l’emissione di nuova moneta non era accompagnata da una reale disponibilità di riserve auree o argentee, rendendo il sistema vulnerabile a un’inflazione incontrollata.

Per cercare di sostenere il valore della cartamoneta e stabilizzare l’economia, furono introdotte diverse normative volte a regolamentarne l’uso.

Una di queste leggi prevedeva che tutte le transazioni commerciali di valore superiore a una stringa dovessero essere obbligatoriamente effettuate in cartamoneta, mentre un’altra legge vietava severamente l’accaparramento delle risorse finanziarie, un fenomeno che rischiava di aggravare ulteriormente la crisi economica.

Inoltre, furono imposti limiti rigidi alla quantità di moneta che ogni individuo poteva prelevare dal tesoro imperiale, nel tentativo di impedire il prosciugamento delle casse statali.

Per proteggere ulteriormente la stabilità del sistema, il governo decise di proibire il trasporto di monete all’estero, nel timore che tali pratiche potessero sottrarre risorse vitali all’economia interna.

Ritroviamo tutti questi vincoli nella Cina moderna e, in particolare, nello Yuan digitale, la Valuta Digitale della Banca Centrale emessa dal governo comunista cinese.

Vediamo quindi che il modello delle Central Bank Digital Currencies è vecchio di secoli ed ha già fallito clamorosamente in un contesto politico molto più stabile di quello attuale.

Tornando alla dinastia dei Chin, vediamo che questa politica incontrò una forte resistenza da parte dei mercanti, molti dei quali dipendevano dal commercio internazionale per il proprio sostentamento e non vedevano di buon occhio le restrizioni imposte dal governo.

La tensione tra le esigenze statali e gli interessi privati si intensificò, contribuendo a creare un clima di crescente sfiducia nei confronti delle autorità.

Nonostante gli sforzi normativi, l’emissione eccessiva di cartamoneta senza un adeguato supporto di riserve reali portò a una svalutazione progressiva del chiao-ch’ao, accelerando il processo di destabilizzazione economica già in atto.

La situazione precipitò ulteriormente quando l’Impero Chin fu costretto a fronteggiare non solo le pressioni economiche interne, ma anche l’incombente minaccia esterna rappresentata dall’avanzata dei Mongoli.

Le leggi si rivelarono inefficaci di fronte alla mostruosa inflazione che ne seguì. La cartamoneta era ovunque, ma nessuno la voleva.

Nell’anno 1210, più di ottanta carri di banconote furono distribuiti tra le truppe cinesi, nel tentativo disperato di sostenere le operazioni militari e di placare le richieste economiche dei soldati.

Tuttavia, l’eccessiva emissione di carta moneta non garantita causò una perdita di fiducia senza precedenti, non solo tra i militari ma anche tra i mercanti e la popolazione civile.

Le banconote vennero emesse in tagli sempre più grandi, fino a raggiungere le 1000 corde per banconota, un valore che rifletteva l’assenza di un reale supporto economico e rendeva evidente la precarietà dell’intero sistema finanziario.

Nel frattempo, il governo rispondeva all’inflazione incontrollata con ulteriori emissioni di cartamoneta non garantita, aggravando ulteriormente il problema.

La coniazione del contante di rame, un tempo pilastro della stabilità economica, cessò completamente, lasciando alla gente l’unica alternativa di una carta che si svalutava rapidamente e che non era in grado di soddisfare le esigenze quotidiane.

Questa situazione creò un clima di disperazione e sfiducia nei confronti delle autorità governative, mentre l’economia dell’impero Chin si avvicinava inesorabilmente al collasso.

La crescente pressione esterna, unita alla disfunzione interna, contribuì a destabilizzare ulteriormente un sistema già in frantumi, dirigendo l’intero stato verso la sua inevitabile rovina.

Il pubblico si rivolse alle monete in contanti ancora disponibili, che rappresentavano una forma di sicurezza in un’economia sempre più instabile.

I commercianti, dal canto loro, facevano affidamento sull’argento per sostenere il commercio.

L’argento, oltre ad essere un bene tangibile, era molto apprezzato in termini di monete ed era tradizionalmente utilizzato come moneta di conto per le grandi transazioni, assicurando una certa stabilità nel caos monetario.

Quando i Cinesi videro il rifiuto del mercato nei confronti della loro politica monetaria, cercarono di salvare la loro moneta associandola all’argento, un tentativo che mirava a ripristinare la fiducia del pubblico.

Nuove leggi furono introdotte per regolamentare l’uso delle banconote e delle riserve d’argento: le piccole transazioni dovevano essere effettuate interamente in banconote di carta, mentre i pagamenti più consistenti venivano eseguiti per un terzo in argento e per due terzi in cartamoneta.

Tuttavia, tali regolamenti, lungi dal risolvere la crisi, aumentarono l’ostilità tra il governo e i mercanti.

Molti commercianti chiusero i loro negozi per protesta, preferendo interrompere le attività piuttosto che conformarsi a decreti ritenuti inutili e dannosi.

Altri ignorarono semplicemente i decreti governativi, continuando a commerciare secondo le proprie condizioni e rifiutando di accettare la cartamoneta come forma di pagamento.

Questa disobbedienza diffusa sottolineava la crescente perdita di autorità del governo sulle dinamiche economiche.

Di fronte a un’opposizione sempre più ostile e a un sistema che minacciava di collassare completamente, gli amministratori Chin furono infine costretti a interrompere la stampa di cartamoneta.

Questo segnò uno dei momenti più critici della storia economica dello Stato Chin, evidenziando la difficoltà di gestire una politica monetaria in un periodo di profonda instabilità e pressione sia interna che esterna.

L’abbandono della cartamoneta lasciò l’economia in uno stato di transizione, dove l’argento e altre forme tradizionali di scambio continuarono a dominare, mentre l’ombra dell’inevitabile rovina si faceva sempre più concreta.

Si creò un altro precedente storico: la cattiva gestione e il fallimento della moneta accelerarono il crollo dello Stato.

La situazione economica si intrecciava profondamente con le tensioni politiche e militari che i Chin affrontavano in quel periodo.

Dal 1211 in poi, gli attacchi mongoli si intensificarono, sfruttando la debolezza interna dell’impero e la perdita di fiducia della popolazione nei confronti delle istituzioni.

La Manciuria fu la prima a cadere sotto l’avanzata mongola, segnando l’inizio di una campagna militare inesorabile.

I Mongoli, guidati da Gengis Khan e dai suoi successori, portarono devastazione e destabilizzazione in ogni territorio che incontravano, utilizzando strategie militari innovative e una forza unificata che superava di gran lunga la capacità difensiva dei Chin.

Con le loro risorse economiche già compromesse dalla crisi monetaria, i Chin non riuscirono a mantenere un esercito ben equipaggiato e organizzato, rendendoli vulnerabili agli invasori.

La capitale Chung-tu divenne il prossimo bersaglio dei Mongoli, e per circa vent’anni i Chin, disorganizzati e privi di una strategia coerente, lottarono disperatamente per sopravvivere.

Le divisioni interne tra diversi gruppi di potere e la continua perdita di territori cruciali indebolirono ulteriormente l’impero.

Le battaglie che seguirono furono sanguinose e segnate da atroci perdite umane, ma anche da una progressiva erosione delle strutture politiche e sociali.

Infine, nel 1234, il crollo definitivo dell’impero Chin si concretizzò. Questo evento fu causato non solo dalla pressione militare esercitata dai Mongoli, ma anche dalla lunga serie di errori amministrativi, economici e politici che avevano caratterizzato gli ultimi decenni dell’impero.

La caduta dei Chin rappresentò non solo la fine di una dinastia, ma anche un capitolo significativo della storia asiatica, che avrebbe preparato il terreno per il dominio mongolo e l’emergere di nuovi equilibri geopolitici nella regione.

L’eredità del fallimento dei Chin rimase come un monito per i futuri imperi: l’incapacità di gestire efficacemente una politica economica e monetaria può avere conseguenze devastanti, soprattutto quando si combina con l’instabilità interna e le pressioni esterne.

Questo tragico epilogo sottolinea quanto sia fondamentale l’equilibrio tra economia, capacità di governo e capacità militare per la sopravvivenza di uno Stato.

Quello dei Chin non fu l’ultimo impero cinese a cadere a causa dell’uso del denaro su carta. Ne dovranno cadere altri due prima della riforma del 1588 che impose l’uso dell’argento come moneta ufficiale e gemellò le sorti dell’impero cinese e di quello spagnolo.

600 valute fiat collassate dal 1800 a oggi

In questa terza puntata vediamo che il denaro su carta tende a perdere valore nel momento in cui viene separato da qualcosa di concreto che ne garantisca il valore. Nella Cina antica, il valore originale proveniva dalle monete di ferro che avevano costituito la base monetaria principale per molto tempo, ma che presentavano una serie di inconvenienti. Il primo problema era che erano molto scomode, pesanti e ingombranti, e c’era il rischio di furti e rapine quando bisognava trasportarle su lunghe distanze. Questo era particolarmente problematico nelle trattative che coinvolgevano paesi molto lontani, quindi nel traffico internazionale in cui la Cina è stata inserita fin dai tempi più antichi.

Di conseguenza, il ferro, il rame e l’argento non si prestavano a essere usati come moneta, perché non erano sufficientemente resistenti, il ferro era troppo pesante e l’argento era troppo raro. Inoltre, le monete di ferro erano insufficienti per alimentare l’economia cinese, a mano a mano che questa cresceva, mano a mano che c’era più commercio all’interno della Cina e soprattutto verso l’estero. Perciò, era intelligente dal punto di vista dei mercanti usare la carta per evitare il trasporto di oggetti pesanti e preziosi. Se un mercante, per esempio in Siria, aveva un buon rapporto con un mercante cinese e c’era fiducia reciproca tra i due, un qualsiasi altro mercante poteva depositare monete di qualsiasi tipo (rame, ferro, argento, oro) presso il mercante siriano, se disponibili. Otteneva da questi una lettera o una banconota e una carta moneta, che poteva presentare al mercante corrispondente in Cina senza correre alcun rischio, perché, qualora i briganti avessero rubato la carta, non sarebbe stato in grado di incassarla, visto che era dedicata a una persona particolare e, in ogni caso, era molto più semplice nascondere la carta addosso alla propria persona piuttosto che magari diversi chili di ferro.

Questo sistema si è evoluto nel tempo, consentendo anche il cambio delle banconote al portatore, che non erano più vincolate a una singola persona. Tutto questo avveniva sempre e soprattutto all’interno del circuito dei mercanti che avevano interesse a mantenere il sistema funzionante affinché il loro commercio potesse continuare a prosperare. Tuttavia, quando entra in gioco lo Stato, le cose cambiano, perché si assiste all’iperinflazione della moneta. Lo Stato non ha interesse a contenere il numero di banconote e a regolarlo in base a quello che il mercato richiede effettivamente, ma ha tutto l’interesse a moltiplicarle, perché è una forma di tassa indiretta che genera inflazione molto elevata, con il conseguente crollo del valore della valuta e, come sempre, del governo che l’aveva adottata.

Ricerche più recenti dimostrano che il problema non era solo cinese: dal 1800 ad oggi, sono state censite già 600 valute fiat, il cui valore dipende unicamente dall’imposizione governativa. Tali valute non hanno nient’altro a garanzia e spesso sono su carta; negli ultimi tempi, però, sono anche in formato elettronico. Attualmente, sono in circolazione 600 valute di questo tipo. Nel mondo, 600 di queste valute sono crollate e la loro vita media, di solito, è di 35 anni prima del collasso, a meno che non ci siano delle attività per rigenerarle o rilanciarle, come è successo, per esempio, con il dollaro. Di solito, vanno a zero a seguito dell’iperinflazione e della cattiva gestione economica condotta dallo Stato, nonché dell’instabilità politica.

Alcuni esempi recenti di collasso di valute fiat sono il marco tedesco nel 1923, il pengo ungherese nel 1945, il dollaro dello Zimbabwe nel 2006, il peso argentino nel 1985, il bolivar venezuelano nel 2002, il rublo russo nel 1992, la lira turca nel 1997 e la valuta della Repubblica Cinese nel 1936. La particolarità del mondo odierno è che, a differenza di quanto accadeva in Cina, dove crollava la dinastia e l’impero, subentrava un altro regime, ma i paesi circostanti continuavano a fare affari come sempre. Oggi tutte le nazioni del mondo usano valute fiat e tutte queste valute sono collegate al dollaro, a sua volta una valuta fiat.

Quindi, nel momento in cui crollano, Crollano tutte insieme o in sequenza, ma l’intero sistema si distrugge e l’intero sistema mondiale ne risente. Siamo quindi in una situazione senza precedenti nella storia dell’umanità e sicuramente è interessante capire come si evolverà. Nei prossimi video, continueremo a occuparci della storia della Cina per capire, fin dalle origini, quali sono i problemi di questo tipo di sistema.

Roberto Mazzoni

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