In questo video, vi propongo l’ultima intervista che ho realizzato con Mani.it. Nel corso dell’intervista, mi è stato chiesto di fare il punto sulla situazione relativa all’omicidio di Charlie Kirk, di cui abbiamo parlato su Mazzoni News con un video recente. Durante il riepilogo, ho fatto il punto della situazione e poi, verso la fine dell’intervista, un ascoltatore mi ha chiesto di Candace Owens. Candace Owens è stata per molto tempo una compagna di viaggio e di lavoro di Charlie Kirk: ha contribuito alla formazione iniziale di Turning Point USA, un’organizzazione senza scopo di lucro creata da Kirk, e ha partecipato a moltissimi eventi universitari, portando la componente femminile e di colore al movimento. Per vari motivi, anche personali, Candace Owens ha avviato un’indagine parallela sull’uccisione di Charlie Kirk e ha pubblicato numerosi video sulle incongruenze della versione ufficiale rispetto alla realtà, attivando una sorta di indagine globale in cui le persone possono contribuire con indizi, informazioni, ipotesi e ogni genere di cosa.
Questo tipo di indagine ha sicuramente fatto emergere alcuni eventi strani collegati all’uccisione di Charlie Kirk. Alcuni di questi eventi sono stati descritti nel video del colonnello dell’aviazione che vi ho proposto e che ci ha parlato anche del progetto Gladio, di cui parleremo di nuovo, seguendo il vostro invito. Alcuni di questi indizi hanno portato al potenziale coinvolgimento di paesi esteri nell’uccisione di Charlie Kirk. È bene chiarire che non ci sono prove in un senso o nell’altro. L’unica cosa che sappiamo è che, quando Tulsi Gabbard, responsabile dell’Ufficio di intelligence centrale alla Casa Bianca e quindi la persona che dovrebbe poter coordinare tutte le informazioni provenienti dalle numerose agenzie di intelligence presenti negli Stati Uniti (17, se non ricordo male), ha contattato l’FBI per chiedere informazioni su un possibile coinvolgimento estero nell’uccisione di Charlie Kirk, l’FBI ha fatto muro e c’è stato uno scontro interno. Quindi, di certo, l’FBI ha qualcosa da nascondere su questo argomento.
Non sappiamo se si tratti unicamente di uno scontro di personalità tra Cash Patel, uno dei peggiori direttori dell’FBI che abbiamo mai visto, nominato da Trump durante la sua amministrazione, e l’ufficio di Tulsi Gabbard. Il solo fatto che ci sia stata questa bega interna ha dato credibilità all’ipotesi avanzata da Candace Owens, secondo cui ci sarebbero altri Paesi coinvolti, al di fuori degli Stati Uniti e della CIA. In particolare, Candace Owens ha parlato dell’Egitto, della Francia e di altre agenzie di servizi segreti che potrebbero essere coinvolte. Sicuramente, però, sono emersi l’Egitto e la Francia: l’Egitto per il fatto che c’erano degli aerei collegati all’aviazione militare egiziana che stazionavano nelle vicinanze e che hanno seguito un percorso più o meno ripetitivo nei mesi precedenti, quindi c’è il sospetto che ci sia qualcosa sotto. La Francia, invece, perché Candace Owens è coinvolta in un confronto legale diretto con Macron sulla questione della moglie di quest’ultimo, che Candace sostiene essere in realtà un uomo, basandosi sul lavoro di ricerca di un giornalista indipendente francese, se non sbaglio.
È stato confermato che addirittura Macron ha contattato Trump perché chiedesse a Candace Owens di smettere di parlare della moglie, e questo è bizzarro, soprattutto perché all’epoca c’era ancora un buon rapporto tra Trump e Candace Owens, e Charlie Kirk era ancora vivo. Fu proprio Charlie Kirk a portare a Candace Owens questa richiesta da parte di Trump, che a sua volta l’aveva ricevuta direttamente da Macron. Quindi, la connessione francese c’è, senza dubbio, ma onestamente non sappiamo se le minacce di morte di cui parla Candace Owens siano credibili e non sappiamo se i francesi siano stati effettivamente coinvolti nell’omicidio di Charlie Kirk. Questo è un dato che non abbiamo. È chiaro che Candace Owens potrebbe essere nel mirino di un prossimo attentato. È stato riferito a lei e a Tucker Carlson che erano nel mirino di diversi avversari dopo l’uccisione di Charlie Kirk. Quindi, potrebbe essere che ci siano dei progetti in tal senso, ma non lo sappiamo. Nel video faccio una serie di ipotesi, vedrete cosa dico. Però volevo aggiornarvi sul video, perché sono emersi nuovi fatti: Candace Owens ha fornito qualche dettaglio in più sul coinvolgimento francese. Ci sarebbe molto da dire: Candace Owens sta creando molti contenuti dedicati non solo all’uccisione di Charlie Kirk, ma anche alle strane situazioni politiche all’interno degli Stati Uniti.
Oggi Owens è decisamente contraria a Trump, lo accusa di aver tradito le aspettative della base elettorale di MAGA, a cui lei appartiene o ritiene di appartenere. Candace Owens è anche una delle figure pubbliche più in vista, il suo podcast è seguitissimo a livello internazionale, ed è finita nel mirino dell’IPAC (l’Agenzia di Lobby israeliana che controlla gran parte dello scenario politico americano, anche se sta rapidamente perdendo potere). Quindi, Candace Owens è sicuramente un personaggio importante nel quadro della morte di Charlie Kirk: è un personaggio scomodo, che solleva tutta una serie di domande che puntano, per lo meno, verso l’incapacità o la mancanza di volontà della Casa Bianca di fare chiarezza e di approfondire se ci siano dei coinvolgimenti internazionali.
Anche perché, come sappiamo, quando la CIA progetta l’omicidio di un personaggio importante, come è successo ad esempio nel caso di John Fitzgerald Kennedy, non è mai la CIA che agisce direttamente, ma coinvolge altri attori. Possono essere altri servizi segreti, la mafia o varie organizzazioni non ufficiali della CIA, perché naturalmente vogliono poter creare una distanza tra sé e l’evento. Inoltre, non è nemmeno detto che sia la CIA a progettare l’evento in primo luogo, ma che sia una qualche altra entità a farlo in qualità di regista generale. Questo giusto per dare un contesto storico alla situazione. Negli Stati Uniti, abbiamo visto che tutti gli eventi più importanti hanno coinvolto tanti attori, non uno soltanto. Lo abbiamo visto anche nel caso dell’attentato alle Torri Gemelle, dove erano coinvolti i servizi segreti sauditi. Abbiamo avuto naturalmente Al-Qaeda, che era un prodotto della CIA. Ci sono stati gli israeliani danzanti, colti in atteggiamento sospetto subito dopo l’attentato a New York. Abbiamo avuto una serie di attori che sono stati o direttamente coinvolti o sospettati di esserlo, ma non è mai stata fatta chiarezza in tal senso. Quello che sappiamo è che i progetti multinazionali sono la norma, non l’eccezione. Quando fanno qualcosa di importante, come abbiamo visto nel caso del progetto Gladio, è sempre un’operazione multinazionale. Bene, volevo chiarire questo punto prima di proporvi l’intervista che ora vi presento. Eccola.
Intervista con Money.it
Buonasera a tutti gli amici di Money.it, siamo negli Stati Uniti per il nostro incontro mensile con Roberto Mazzoni. Ciao Roberto. Buongiorno a tutti e benvenuti. Ben ritrovato, Roberto. Come sempre, mazzoninews.com è il sito di Roberto con le sue attività divulgative che toccano temi davvero interessanti. Tra gli ultimi argomenti che hai trattato in un video, c’è l’omicidio di Kirk, che ha colpito molto anche in Italia. Anche qui si sono fatte molte ipotesi e, come avrai visto, in rete è circolato di tutto e di più, dalle teorie estreme. Come spesso accade quando ci sono questi eventi eclatanti nel mondo del web, c’è addirittura chi ha negato l’autenticità di quello che abbiamo visto nei video. Altri, ovviamente, si sono concentrati su una ricostruzione diversa rispetto a quella dell’autore materiale. Tu hai fatto un discorso molto interessante e, quindi, ti chiedo: chi era davvero Charlie Kirk? Che cosa rappresentava? Che pericolo poteva rappresentare? Come si può spiegare il suo omicidio?
Premetto che ho conosciuto personalmente Charlie Kirk e ho avuto modo di apprezzare il suo approccio molto diretto e franco, che poi l’ha reso una forza nel mondo politico conservatore americano. Charlie Kirk è un ragazzo che ha iniziato con l’idea di riformare la presenza dei conservatori nelle università, che per molto tempo sono rimaste in secondo piano, dato che le università americane hanno preso una netta piega a sinistra e chiunque proponesse teorie diverse da quelle della sinistra americana veniva emarginato e tagliato fuori. Ha quindi riconosciuto la presenza di questo tipo di studenti, che erano dietro le quinte, ma volevano emergere e cercavano un modo per farlo. Gli serviva quindi un leader che li contattasse, li mobilitasse e li organizzasse. Questa è la storia di Turning Point USA, il più grande movimento giovanile dei conservatori americani che si sia mai visto. Abbiamo visto in passato movimenti giovanili di sinistra che hanno avuto successo e un seguito importante, ma sul fronte conservatore non era mai successo.
Per “conservatore” intendo non solo un’impostazione più vicina al libero mercato e all’impostazione capitalistica americana, ma anche e soprattutto di taglio cristiano, dato che Charlie Kirk era un credente e si professava tale. Nei suoi discorsi, nelle sue risposte e nelle sue discussioni, usava spesso contenuti di tipo religioso. Era diventato famoso perché amava discutere con gli studenti e li invitava a dimostrare che aveva torto e che avevano ragione loro. Quindi, organizzava questi incontri abbastanza spontanei nei campus universitari, dove chiunque volesse poteva porre le proprie domande e Kirk iniziava un dialogo dialettico con loro. In questo era molto bravo e grazie a ciò aveva creato un’organizzazione molto grande che credo abbia mobilitato 3.000 studenti negli Stati Uniti, diventando di fatto una costola giovanile del Partito Repubblicano. Nonostante disprezzasse il Partito Repubblicano come fonte delle politiche guerrafondaie degli ultimi 40 anni, riconosceva in esso l’unico partito in cui poter vivere la sua esperienza conservatrice, diventando così anche una macchina politica molto importante.
Direi che Turning Point USA, con la sua capacità di mobilitazione dimostrata nelle ultime elezioni, ha avuto un ruolo assolutamente determinante nelle azioni di Donald Trump. Tra l’altro, Charlie Kirk riconosceva in Trump la persona che avrebbe potuto riformare, almeno in parte, il Partito Repubblicano, portandolo verso ciò che lui riteneva essere il bisogno delle nuove generazioni di americani: ragazzi che non avevano l’opportunità di mettere su famiglia, perché era diventato molto difficile acquistare una casa, pagare i debiti e i contratti durante il periodo di studio, nonché fare una carriera e avere una stabilità economica, rispetto a quanto era stato possibile per i loro nonni o genitori. Inoltre, si trovavano inseriti in un contesto lavorativo in cui la sinistra dominava e in cui la logica della razza e dell’appartenenza alla politica dell’identità era fondamentale. Di conseguenza, soprattutto i giovani conservatori bianchi o asiatici di origine erano discriminati e, per loro, lui era un punto di riferimento, non solo in termini politici, ma anche di stile di vita e di filosofia.
Il Turning Point USA era un’organizzazione senza fini di lucro che viveva di donazioni e aveva raccolto un gran numero di donatori da diverse sezioni sociali e politiche americane, tutte naturalmente orientate verso destra e verso il partito repubblicano, con anche una componente importante della famosa lobby israeliana. Questo aveva fatto sì che l’organizzazione sviluppasse una struttura importante e che Trump le prestasse attenzione, perché riconosceva in Charlie Kirk un Trump aveva riconosciuto l’importanza fondamentale di Kirk e della sua organizzazione durante l’ultima elezione e prestava quindi molta attenzione a ciò che Kirk gli portava come messaggio. Ora, la presenza di Trump, in questa sua seconda presidenza, dopo i primi tre mesi di un mandato impostato in buona sostanza sulle promesse elettorali, ha visto una deviazione piuttosto critica con la famosa guerra di 12 giorni contro l’Iran, e da lì in poi è cominciato un po’ tutto ad andare a rotoli.
Charlie Kirk percepiva in questa deviazione un pericolo estremo sia per il pubblico che rappresentava, ovvero i giovani che avevano riposto speranze in Trump e nell’amministrazione Trump, e che si trovavano sempre più in difficoltà dal punto di vista economico, sia per la stessa presidenza Trump. Per questo motivo, aveva contattato più volte la Casa Bianca, proprio per convincere Trump a non intraprendere una guerra a tutto campo contro l’Iran, obiettivo verso cui la lobby israeliana preme da 15 anni. Verso cui il Partito Repubblicano, diciamo tutta la componente tradizionale, quindi gran parte del Senato, è fortemente orientato, e verso cui il complesso militare e industriale americano naturalmente preme, perché un’altra grande guerra sarebbe un grande affare. Charlie Kirk riconosceva che questo avrebbe segnato la fine di Trump, la fine del movimento “Make America Great Again” e anche della sua stessa organizzazione, “Turning Point USA”, perché “Turning Point” significa “punto di svolta” e indica la volontà di cambiare rispetto a una politica del passato; se si continua a fare sempre le stesse cose, non si tratta più di un “punto di svolta”. Kirk era quindi diventato un personaggio molto scomodo per l’apparato del complesso militare e industriale che include, naturalmente, i fabbricanti d’armi, il Pentagono, tutte le varie agenzie di intelligence, i finanziatori e, più in generale, tutte le componenti finanziarie che vivono di questo tipo di iniziative, nonché buona parte del Partito Repubblicano con la sua componente neoconservatrice, l’anima di tutte le guerre che abbiamo visto dall’Iraq in poi, anche prima, a dire il vero, ma sicuramente dall’Iraq in poi, la seconda guerra in Iraq, intendo.
Era sicuramente un personaggio scomodo, soprattutto per il Deep State, e ultimamente nelle università americane stava emergendo un sentimento contrario allo stato di Israele, a causa di quello che l’esercito israeliano stava facendo a Gaza. Benché abbia cercato di contenere questa situazione, portando una posizione tutto sommato favorevole a Israele per un po’ di tempo, si è reso conto che non era una posizione difendibile e che la situazione gli era sfuggita di mano. Non era un tipo di attività accettabile e ha incominciato a invitare nei suoi eventi persone che sollevavano il problema, soprattutto abbinandolo alle esigenze economiche dei giovani americani, che devono fare sacrifici mentre il governo manda miliardi di dollari. A una nazione straniera, per finanziare guerre che non hanno nulla a che vedere con gli interessi degli Stati Uniti. Questo stava diventando sempre più evidente, così come il fatto che lui fosse sotto pressione da parte della lobby israeliana affinché smettesse di affrontare questi argomenti o di invitare determinati personaggi, comunque conosciuti e rispettati nel mondo conservatore, che negli ultimi sei mesi hanno preso una posizione decisamente contraria alla lobby. Ora, per intenderci, la lobby israeliana ha dominato le elezioni americane negli ultimi 20 anni: qualsiasi candidato che esprimesse opinioni contrarie a Israele era destinato a perdere, perché sarebbero stati spesi centinaia di milioni di dollari per promuovere un candidato alternativo.
Di conseguenza, tutti i membri del Congresso, sia del Senato che della Camera, hanno sempre votato a favore delle richieste della lobby. La situazione, tuttavia, sta cambiando in modo drastico, tanto che probabilmente, nella prossima elezione di medio termine, vedremo l’esatto contrario. Lo abbiamo già visto con l’elezione del sindaco di New York, Manden, che si è apertamente dichiarato contrario all’influenza della lobby: “A me non interessa quello che fanno in Israele, io voglio occuparmi di New York, sono un newyorkese e i problemi dei newyorkesi sono la mia priorità. Tutto quello che succede fuori non mi riguarda”. E ha vinto in modo schiacciante. Quindi, vediamo già diversi candidati che dichiarano di non aver ricevuto o di non aver accettato donazioni da AIPAC, l’organizzazione principale della lobby, o che hanno restituito i soldi come elemento differenziante in vista delle elezioni del 2026. La lobby israeliana sta perdendo consenso e benevolenza da parte del pubblico americano, soprattutto quello giovane, a cui Charlie Kirk apparteneva. Charlie Kirk sta cercando di portare questo messaggio anche a Trump: il discorso sull’Iraq, sull’Iran e sulla guerra in Iran andava esattamente in quella direzione e questo tipo di discorso non era sostenibile per chi voleva mantenere Trump su un’accesa contrapposizione.
La morte di Charlie Kirk era dunque inevitabile, perché aveva un notevole potere politico, avendo sviluppato un’organizzazione capace di mobilitare tanti voti da far vincere o perdere un candidato repubblicano. Inoltre, poteva influenzare Trump, proprio perché aveva un forte potere elettorale e poteva dominare un elettorato importante. Inoltre, si era sempre dimostrato un alleato fedele di Trump, sostenendolo in tutti i modi. Personalmente, aveva una grande opinione di Trump e lo rispettava profondamente, quindi era una persona a cui Trump dava ascolto, molto più che a tanti altri. Era quindi un’aspira nel fianco per diversi personaggi importanti nell’apparato militare, nell’intelligence e nel mondo finanziario americano. Tra l’altro, la sua morte aveva una doppia valenza utile per loro: togliere una persona che stava diventando scomoda e che avrebbe potuto far deviare un blocco elettorale enorme, soprattutto le nuove generazioni americane, e mandare un messaggio diretto a Trump.
La morte di Charlie Kirk ha toccato Trump, e in qualche modo ha avuto un impatto personale su di lui, facendogli capire che magari lui non può essere raggiunto, ma che altre persone a lui care o vicine potrebbero esserlo. Quindi, direi che i momenti sono chiari e sono anche abbastanza confermati da quanto è successo dopo la sua morte. Abbiamo visto, infatti, una serie di personaggi che si sono precipitati a specificare che Charlie Kirk era ancora loro amico, il loro più grande alleato e una persona che avrebbe sempre mantenuto fede alle esigenze della lobby israeliana o di altri donatori. Poi, però, è emerso in modo documentale che Charlie Kirk era sotto notevole pressione: c’erano messaggi di posta elettronica e altri tipi di messaggi che dimostravano che si stava ribellando o andando controcorrente rispetto a quanto volevano questi personaggi. Inoltre, proprio il giorno prima del suo omicidio, c’era stato un intervento in cui si cercava di fare pressione su di lui affinché tornasse nei ranghi. Quindi, chi sia stato effettivamente forse non lo sapremo mai: si tratta di un omicidio politico di altissimo profilo negli Stati Uniti, paragonato, secondo me correttamente, a quello di Martin Luther King, tanto che gli hanno già dedicato una strada in qualche città americana. Un omicidio di altissimo profilo, perché era estremamente conosciuto negli Stati Uniti, aveva un seguito enorme tra i giovani, soprattutto tra i giovani conservatori e cristiani, e rappresentava una guida politica e di vita per molti di loro.
Aveva anche convertito diversi sostenitori della sinistra che, a un certo punto, avevano riconosciuto nelle sue argomentazioni una certa validità e verità, passando così dall’altra parte. Non è una cosa che sparirà facilmente: in molti continueranno a portare avanti il suo messaggio. A questo punto, però, si assiste a una spaccatura netta tra l’elettorato giovane americano, sia di destra che di sinistra, e l’amministrazione Trump e il partito repubblicano, anche perché i giovani si rendono conto che l’attuale Casa Bianca, l’FBI e il Ministero della Giustizia stanno Gestendo l’indagine in modo assurdo, continuano a contraddirsi e a rendere la vicenda assolutamente non credibile, alimentando così le teorie più fantasiose. Nessuno crede alla versione ufficiale e la cosa è doppiamente grave, anche perché le persone che stanno conducendo l’indagine sull’omicidio di Charlie Kirk dovrebbero essere suoi amici.
È una sconfitta doppia per l’elettorato giovane. Trump è arrivato alla Casa Bianca con un voto popolare importante, quindi con una percentuale di votanti notevole rispetto alla media delle elezioni americane, ma molti di questi nuovi voti provenivano dalle nuove generazioni di destra, mobilitate da personaggi come Charlie Kirk, o di sinistra, assolutamente disgustate dalla presidenza di Biden. Ora, con le ultime elezioni che sono, se vogliamo, elezioni locali di alcuni stati particolari, di alcune città come New York, quindi non hanno una valenza nazionale, ma che comunque hanno un peso importante in termini di risultati, vediamo che c’è stato un tracollo della popolarità di Trump. Letteralmente, ho sentito Rasmussen, il titolare della Rasmussen, uno degli studi di indagine politica e di sondaggi politici più credibili negli Stati Uniti, che ci ha sempre azzeccato, a differenza di tanti altri che fanno propaganda, e che, tra l’altro, è sempre stato molto vicino alle posizioni di Trump. Il titolare di questo studio di ricerche diceva che ormai è garantita una sconfitta nel 2026 per i repubblicani, che potrebbe essere anche sonora, e che è anche possibile che i repubblicani perdano la maggioranza in Senato.
I repubblicani potrebbero perdere la maggioranza al Parlamento e alla Camera dei Deputati anche prima del 2026, considerando che abbiamo appena avuto l’annuncio delle dimissioni di Marjorie Taylor Greene, una parlamentare che ha sempre seguito Trump, che ha sempre assistito Trump, ma che ha deviato rispetto a Trump nella posizione di sostegno di Israele e nella questione di Jeffrey Epstein. Ha vinto lo scontro con Trump su questo campo, perché è appena stata approvata una legge che costringe la Casa Bianca a rilasciare tutti i documenti in suo possesso, a condizione che non siano confidenziali. Tuttavia, appena dopo questa vittoria importantissima, ha dichiarato che si dimetterà dalla carica di parlamentare, perché è stata attaccata da Trump e a questo punto non si riconosce più in Trump, il leader di “Make America Great Again”, ha di fatto inserito nella Casa Bianca tutti i personaggi opposti a questo tipo di politica, tutti i peggiori neoconservatori in circolazione, e la sua politica futura sarà neoconservatrice.
Quindi, con la morte di Charlie Kirk, la posizione di Trump vede una caduta libera che non viene fermata neanche dalla presenza di un elettorato giovanile che sarebbe potuto essere mobilitato da Kirk e che, invece, non verrà mobilitato. Perciò, Charlie Kirk era un passaggio necessario per completare la cattura della seconda presidenza Trump e spingere la sua amministrazione nel baratro in modo definitivo. Ecco, c’è una domanda che arriva dalla chat: Roberto, cioè, se la prossima città che avremo sarà la Owens. Candace Owens? Potrebbe essere. Candace Owen sostiene di essere stata minacciata dai francesi per la questione della moglie di Macron, ma non so dirvi se quanto ha dichiarato è credibile o meno. Di certo, Candace Owen è, se vogliamo, una sorta di alter ego di Charlie Kirk, perché ha seguito la sua carriera fin dall’inizio: era la sua stretta collaboratrice, ha girato le università con lui per almeno due anni, portando la componente di colore e quella femminile, e aggiungendo quindi un aspetto molto importante. Poi si è distaccata, andando a lavorare per un’organizzazione mediatica americana di fatto sionista, senza particolari problemi. Una volta che ha cominciato a distaccarsi dalla posizione di Israele su Gaza, dichiarandosi non più così favorevole, e dopo essersi anche convertita al cattolicesimo, è stata espulsa da questa organizzazione e ha incominciato a pubblicare i suoi podcast e i suoi video in modo indipendente.
Oggi è tra le podcaster più seguite al mondo, con un seguito incredibile, e ha avuto il merito di aiutare a fare luce sulla morte di Charlie Kirk, non accettando naturalmente la versione ufficiale e portando una serie di contributi che solo lei poteva portare, conoscendo molto bene Turning Point USA, avendoci lavorato a lungo, mantenendo i contatti e partecipando comunque alle riunioni dell’organizzazione. USA, anche in tempi recenti, e ha mantenuto un contatto personale con Charlie Kirk fino agli ultimi giorni. Quindi, Cando Zowen potrebbe essere a rischio, ma non credo che ricorrerebbero a una cosa di questo genere, perché ne farebbero un martire. Hanno già fatto di Charlie Kirk un martire e farebbero lo stesso anche con lei. Lei non ha la capacità politica di mobilitare l’elettorato come aveva Charlie Kirk, ma sicuramente può influenzarlo, perché è molto seguita. Però non fa parte della macchina politica ufficiale, ecco, per intenderci, e sicuramente Trump non le presta attenzione. Quindi, da quel punto di vista, non è interessante. Anzi, dal loro punto di vista, credo che sia comodo avere una Cando Zowen, perché, in buona sostanza, sta comunque demolendo la credibilità della presidenza Trump. Lei stessa ha dichiarato ufficialmente di non sostenere più Trump e di non riconoscersi più nelle sue politiche.Un collasso economico senza precedenti, creare caos al punto che “Make America Great Again” diventerà semplicemente un lontano ricordo e addossare tutte le colpe a Trump.
A questo punto, qualsiasi voce che critichi Trump è importante e benvenuta, soprattutto se proviene dalla destra. In questo senso, Candace Owens è preziosa per il Deep State americano. Non è che lavori per il Deep State americano, però è una voce che non dà fastidio, anzi, può tornare comoda. Può essere diverso invece nei confronti dei francesi, questo sì. Roberto, vediamo un’altra domanda che è arrivata: l’uccisione delle due guardie nazionali è collegata a questa logica omicida? Beh, è possibile. L’idea è naturalmente quella di creare quanta più confusione possibile e di aumentare la tensione sociale all’interno degli Stati Uniti, in modo da provocare un’esplosione sociale di qualche tipo. Grazie a questa esplosione, poi, si potranno introdurre delle misure repressive senza precedenti. Questo è sempre stato il gioco e lo sarà sempre. Questo tipo di attentato, che non saprei dire se è stato programmato o meno (ho ancora troppo poche informazioni), potrebbe benissimo esserlo e contribuirebbe in quella direzione.
In effetti, Trump ha reagito con collera, dicendo che, comprensibilmente, applicheranno le misure più rigorose e più drastiche nei confronti di queste persone. Inoltre, studiando il fatto che la persona arrestata come sospetta è un immigrato illegale afghano, non sappiamo se sia stato lui. Non ho elementi definitivi in tal senso, però… Se guardiamo alla strategia generale, l’obiettivo è creare un malcontento diffuso all’interno delle popolazioni. Questi giovani americani, per esempio, dichiarano di non voler più Trump e di non voler più votare per lui. Vogliono votare per qualcuno che distrugga il sistema, non che lo riformi o lo modifichi, perché non credono più che sia possibile. Vogliono votare per qualcuno che lo distrugga e lo sostituisca con qualcos’altro. Questo è anche un po’ calcolato, perché l’idea, sia a destra che a sinistra, è che i politici fanno sempre le stesse cose e non ottengono risultati. Se provano a fare dei cambiamenti, trovano tanti ostacoli nel sistema burocratico, che è fortemente corrotto. L’abbiamo visto con l’attività di Doge all’inizio della presidenza di Trump. Adesso Doge è stato definitivamente smantellato. E qualsiasi cambiamento viene ostacolato dalla presenza di giudici corrotti. Quindi, il problema non è risolvibile a livello politico e da un solo politico. È un problema sicuramente più complesso e l’idea è quella di spingere soprattutto i giovani a chiedere la distruzione del sistema piuttosto che la sua riforma. Tutti questi atti vanno in quella direzione. Penso che ne vedremo altri. Non è una novità. È la cosiddetta strategia della tensione che abbiamo visto anche in Italia negli anni ’70 e che continua ancora oggi.
Quindi, è un copione abbastanza standard. Siamo aperti a quello che sta avvenendo in queste ultime ore. Secondo te, siamo vicini a un accordo tra Russia e Ucraina, o forse sarebbe meglio dire tra Russia e Stati Uniti, visto che il ruolo dell’Ucraina è sempre stato subordinato a quello americano, sia con Obama prima, sia con Trump adesso. Qual è, secondo te, l’obiettivo di Trump in questa vicenda, al di là delle parole che dice, come “basta morti”? La possibilità che si raggiunga un accordo è praticamente nulla, diciamo 0-1 per essere ottimisti. In questo contesto, Trump ha commesso un errore strategico seguendo i consigli di Keith Kellog, il generale che lo ha sostenuto durante il periodo elettorale e che si è dimostrato un suo “alleato”, ovvero una persona che non l’ha abbandonato nel momento del bisogno, ma che comunque non era certo allineato con le sue finalità e i suoi obiettivi.
In buona sostanza, Kellog ha preparato un piano di pace che è stato presentato ai russi, il primo che hanno ricevuto, ma che è stato rifiutato perché era assolutamente incoerente con la realtà dei fatti: non teneva conto del fatto che i russi stavano perdendo, che l’Ucraina avrebbe potuto vincere e che l’economia russa era in grande difficoltà, eccetera, eccetera, quindi una serie di idiozie. Abbiamo visto Trump oscillare tra la posizione di Kellog, sostenuta anche da Marco Rubio, ministro degli Esteri e responsabile della sicurezza nazionale, e quella di J.D. Pence e altri, che invece vorrebbero porre fine alla guerra in Ucraina e hanno una visione più realistica della situazione sul campo. Quindi abbiamo visto Trump oscillare da un estremo all’altro, a seconda di quale delle due fazioni avesse il suo orecchio in un determinato momento. In questo contesto, si inserisce naturalmente il discorso di Charlie Kirk, che ha aiutato a distinguere tra coloro che stanno cercando di affossare la presenza di Trump e coloro che invece stanno cercando di ottenere un risultato positivo.
Abbiamo quindi visto la fazione di Vance, per così dire, che aveva avviato una serie di trattative private con i russi, anche perché si rendono conto che la guerra sta per finire e che, una volta conclusa, Trump uscirà perdente. All’inizio della sua presidenza, infatti, poteva dire: “Questa non è una guerra che ho avviato io, se ci fossi stato io non ci sarei mai stato”, e tutta una serie di altre cose, ma ormai è passato abbastanza tempo perché questo conflitto sia completamente suo. Se avesse voluto porre fine alla guerra, sarebbe stato semplice: bastava interrompere la fornitura di informazioni di intelligence militare agli ucraini e la guerra sarebbe finita molto prima, oltre a interrompere la fornitura di armi e di denaro. Ma siccome questo non è possibile, perché il Congresso non glielo permette e perché diversi personaggi inseriti nella Casa Bianca non lo permettono, lui ha oscillato da una posizione all’altra, e fino a poco tempo fa era convinto che gli ucraini avessero effettivamente delle possibilità di vittoria o che i russi non fossero così vicini a una vittoria schiacciante.
Qualcuno deve essergli andato a spiegare che, con la caduta di Pokrovsk, uno degli ultimi baluardi ucraini nel Donbass, la guerra sta volgendo al termine. Non finirà domani, ma da questo momento in poi per i russi sarà più semplice. Infatti, abbiamo visto che avanzano molto più rapidamente rispetto al passato e questa velocità potrebbe continuare ad aumentare, portando a una vera e propria sconfitta clamorosa. Gli ucraini si troveranno a non dover più negoziare un accordo di pace, ma semplicemente a firmare una resa. Deve aver fatto capire a Trump che le affermazioni di Kellogg erano sciocchezze fin dall’inizio, e non ci voleva molto per capirlo; a ogni modo, i fatti sul campo lo dimostrano. Gli hanno detto: “Guarda, dobbiamo cercare di attivare un accordo di pace il prima possibile, altrimenti perderai la guerra, ne uscirai sconfitto e farai la fine di Biden quando ha lasciato l’Afghanistan”.
Quindi lui ha cercato di… Ha dato il via libera a una trattativa privata, ma questa è stata subito sabotata perché Kellogg ha fatto trapelare il contenuto del piano d’accordo, piano che comunque è stato fatto trapelare in modo alterato dagli ucraini. Poi, se non sbaglio, Marco Rubio si è precipitato a Ginevra per incontrare gli ucraini e gli europei e stilare un altro accordo alternativo che non sarà assolutamente accettabile per i russi. Questo giusto per poter dire che gli ucraini sono disposti a firmare l’accordo presentato da Trump e non l’accordo presentato da Trump, ma che sono sempre i russi a non volerlo. A questo punto, i russi sono stati molto chiari e hanno affermato che preferirebbero una conclusione militare del conflitto. Sono tuttavia disposti a parlare con gli Stati Uniti, sia perché vogliono ripristinare dei contatti diplomatici, perlomeno elementari, con gli USA, sia perché i loro partner internazionali, come la Cina, l’India, il Brasile e le nazioni BRICS, gli hanno chiesto di farlo e di lasciare aperta la porta a una soluzione diplomatica. Tuttavia, la proposta di pace che circola è una bufala clamorosa. Quindi, a meno che Trump non si tolga dai piedi Marco Rubio, non ha nessuna possibilità di venire a capo della situazione. Marco Rubio ha il controllo sostanziale di tutta la politica estera, perché è il ministro degli Esteri, il capo della CIA e il consigliere per la sicurezza nazionale.
Ha quindi il controllo di tutte le attività di intelligence e di tutte le attività strategiche. Si tratta di una posizione doppia che in passato è stata ricoperta solo da Kissinger, perché i due ruoli non sono compatibili: il consigliere per la sicurezza nazionale dovrebbe bilanciare il ministro degli Esteri e il capo della CIA, in modo che il presidente non sia spinto in una direzione piuttosto che in un’altra. Marco Rubio non è interessato a far finire la guerra in Ucraina, anzi, vuole che continui a tutti i costi, come voleva che continuasse la guerra a Gaza. Infatti, sono riusciti a raggiungere un cessate il fuoco a Gaza solo escludendo Marco Rubio da quelle specifiche trattative. Marco Rubio, invece, è interessato a iniziare la guerra in Venezuela, perché è il primo passo per poi riconquistare Cuba. Marco Rubio proviene da una famiglia di origine cubana, i cui membri fuggirono da Cuba dopo la presa del potere da parte di Fidel Castro.
Tra questi, vi furono coloro che parteciparono alla Baia dei Porci con Kennedy, dando inizio a una lunga storia di personaggi che desiderano riconquistare militarmente Cuba. Inoltre, è un neoconservatore dichiarato, quindi la possibilità di raggiungere un accordo di pace con la Russia è pari a 0,1. Quindi non ci dai una grande speranza? No. Pensavo a qualcosa di diverso. Sembrerebbe che si parli di un accordo vicino, ma secondo te come ne uscirebbe Putin? Se non firma questo accordo, continuerà a velocizzare l’offensiva come sta facendo in questi giorni? Putin è stato molto chiaro: ha tenuto un discorso in uniforme militare, giusto per sottolineare il concetto, e ha affermato che la soluzione ideale per loro è di tipo militare, ovvero riconquistare il territorio che desiderano e annientare completamente l’esercito ucraino, oltre a tutti i collaboratori della NATO presenti sul territorio ucraino. Questa è la nostra soluzione ideale. Siamo disposti ad ascoltare delle proposte, ma non le accetteremo solo perché i cinesi stanno facendo pressione in tal senso e vogliono che ci dimostriamo aperti in quella direzione. Per il momento, non abbiamo ancora ricevuto comunicazioni ufficiali, perché il documento che circola non è ufficiale. Il problema fondamentale di queste pantomime è che si tratta del modello tipico della diplomazia europea: i diplomatici europei si riuniscono, discutono tra loro e decidono cosa è accettabile per loro, poi lo presentano come dato acquisito ai russi, chiedendo loro di accettarlo.
Questa è la situazione europea, il sistema di trattativa europeo che è stato accolto da Marco Rubio e inserito nella trattativa in corso, che a questo punto è naturalmente arenata. Teniamo presente che porre fine a una guerra non è facile, così come non lo è iniziarla. Per l’Europa, la guerra in Ucraina deve continuare il più a lungo possibile, perché questo è un fatto evidente, intendo per la classe politica europea attuale: così possono incolpare i russi di tutto quello che succederà in Europa nei prossimi anni, che non sarà divertente, e inoltre sperano di mantenere coinvolti gli americani, che comunque fanno circolare un po’ di dollari, che servono tanto alle casse europee. Quindi, non c’è alcun interesse da parte dell’Europa, né tantomeno da parte degli ucraini, a raggiungere un accordo di pace, perché sarebbe un accordo in cui uscirebbero sconfitti. Inoltre, i russi non hanno alcun interesse a mettersi a discutere con l’attuale governo di Kiev, che hanno bollato come criminale e illegale, né a trattare con gli europei, su cui ormai non hanno gettato la spugna.
Sono interessati a mantenere il dialogo con gli americani, perché l’America è comunque un partner che vorrebbero avere in futuro, magari per attività comuni nell’Artico, e anche perché è una superpotenza nucleare. Quindi vogliono tenere la situazione mediamente sotto controllo, sapendo che negli Stati Uniti ci sono persone con seri problemi mentali, come Marco Rubio. Per quanto Trump sia una banderuola e sia stato catturato dalla politica estera, rimane comunque una persona malleabile e non propensa a iniziare una terza guerra mondiale. Inoltre, all’interno della Casa Bianca, ci sono comunque delle forze che spingono nella direzione opposta. Per esempio, il vice ministro della Difesa, o meglio della Guerra, se non sbaglio il nome è Driscoll, è stato a Kiev a spiegare agli ucraini che devono accettare un trattato rapido con i russi, altrimenti resteranno senza niente, e che comunque continuerà a dialogare con i russi e con gli europei. Tra l’altro, Kellogg ha dichiarato che si dimetterà, ma se ne andrà soltanto a gennaio, quindi ci sarà comunque un tira e molla continuo. In ogni caso, come stavo dicendo, non è facile porre fine a una guerra.
La fine della guerra del Vietnam, dopo che gli americani hanno deciso di uscirne, ha richiesto cinque anni di trattative, eppure gli americani erano già decisi a farlo e erano direttamente coinvolti, quindi c’erano americani che morivano tutti i giorni. In questo caso, invece, non sono direttamente coinvolti e non hanno perdite umane ufficiali, perlomeno stanno spendendo meno. Tutto sommato, per l’élite politica e finanziaria americana, il fatto che l’Europa sia in difficoltà è un vantaggio, nel senso che possono muoversi più liberamente sui mercati finanziari. In ogni caso, non c’è nessuna prospettiva, neanche remota, che l’attuale composizione del Senato americano approvi un accordo di pace con i russi. Quindi, qualsiasi accordo concluso da Trump varrebbe poco o niente, perché, se non viene ratificato come trattato ufficiale, può essere smentito il giorno dopo, o dal prossimo presidente, o dalla prossima amministrazione. Quindi, per i russi, non rappresenta alcuna garanzia. Di conseguenza, andranno avanti a dialogare; Trump cercherà di salvare il salvabile in termini di immagine e i russi cercheranno di aiutarlo a uscirne senza troppe ammaccature, sostenendo che ha fatto di tutto per raggiungere la pace, ma che sono stati gli ucraini e gli europei a non voler giocare secondo le sue regole. Tuttavia, è ormai evidente che la guerra in Ucraina si concluderà militarmente. Saranno quindi i russi a continuare con le loro avanzate.
A questo punto devono decidere fino a dove vogliono arrivare, perché credo che, oltre ai quattro territori che hanno già indicato come parte della Russia ufficialmente e che non sono ancora stati liberati al 100%, quindi che richiederanno la continuazione delle campagne militari, è molto probabile che ne aggiungano altri quattro. È anche altrettanto probabile che, se non succederà niente a Kiev e rimarrà l’attuale governo, a un certo punto si decidano di occupare anche Kiev, non in modo permanente, ma per un tempo sufficiente ad avere un cambio di regime. Quindi, la guerra in Ucraina continuerà finché non ci sarà una sconfitta completa dell’Ucraina e della NATO e finché non ci sarà un’umiliazione definitiva dell’Unione Europea. Adesso, la von der Leyen ha dichiarato di voler recuperare i fondi congelati dai russi presso Euroclear, l’agenzia europea che gestisce le transazioni finanziarie internazionali tra diverse banche in Belgio.
Euroclear è, se vogliamo, il polmone del sistema dell’euro a livello internazionale. L’amministratore delegato di Euroclear ha già dichiarato che farà causa alla Commissione Europea se si muoverà in tal senso e che opporrà resistenza in tutti i modi, perché è perfettamente consapevole che questo tipo di mossa provocherebbe due effetti. Il primo è che altre nazioni che hanno depositato i loro fondi presso Euroclear (si parla di 12 trilioni di euro, ma non ne sono sicuro, vado a memoria) ritirerebbero i loro soldi da Euroclear se i manager di Euroclear consentissero il sequestro definitivo dei fondi dei russi da trasferire all’Unione Europea. Stiamo parlando dei paesi arabi, dei cinesi che probabilmente hanno ancora dei fondi lì dentro, di tutta una serie di operatori che oggi lavorano con il sistema euro per le attività internazionali e che a questo punto preleverebbero i loro fondi in massa, facendo crollare Euroclear e il Belgio, che è responsabile di Euroclear. Quindi, come nazione, il Belgio collasserebbe, perché non sarebbe in grado di finanziare o di ripagare questa cifra e di garantire. Infatti, il governo belga ha già detto: “Noi non garantiamo niente, siamo fuori dalla questione”. Questo farebbe collassare il sistema euro, che a quel punto non avrebbe più nessuna credibilità internazionale. A differenza del dollaro, che comunque è ancora sostenuto dall’apparato militare americano e quindi mantiene una certa forza ed è ancora ampiamente utilizzato in tutto il mondo, e che sarà ulteriormente rafforzato dal lancio delle stable coin, l’euro non gode di tutto questo, il che vorrebbe dire un collasso effettivo del sistema economico europeo.
Credo che i russi puntino a questo, perché alla fine per loro vorrebbe dire perdere alcuni miliardi di euro, ma poi rivalersi in altro modo. Per loro, a questo punto, affossare economicamente uno dei nemici più importanti che hanno sui loro confini, ovvero l’Unione Europea e la NATO, sarebbe un’ottima cosa, e toglierseli di torno per almeno 10-20 anni sarebbe un risultato eccellente. Probabilmente, a quel punto, sarebbe anche la fine dell’eurozona e dell’Unione Europea, ma non sono in grado di fare previsioni specifiche. È chiaro, però, che la posizione dei russi è molto semplice: stanno vincendo e non c’è motivo per cui dovrebbero fermarsi. Sanno che qualsiasi accordo prendano oggi verrà alterato e non verrà rispettato, sarà di fatto una trappola, quindi non sono interessati. Sono interessati a mantenere il dialogo con gli americani, perché vogliono comunque tenere bassa la tensione nei confronti di Washington. Si è parlato molto della lista di Epstein prima che venisse resa nota. È stata anche pubblicata un’email da un sito che poi ha imitato Gmail anche nella grafica. Secondo te, cosa è emerso? È emerso qualcosa di interessante? E Trump, in qualche modo, fino a che punto la sua frequentazione con questo personaggio è compromettente per lui?
Oppure erano solo legami di amicizia che non c’entrano niente con quello che era, purtroppo, l’hobby di questo personaggio? Onestamente, fino a questo momento sono emerse delle email e le informazioni stanno emergendo a poco a poco. Non si tratta di documenti governativi, ma di documenti ricavati dalla fondazione che gestisce le proprietà di Jeffrey Epstein o da altre fonti. Quello che si sapeva già è che, paradossalmente, Trump non è particolarmente coinvolto, anche perché tutti questi documenti erano già disponibili alle precedenti amministrazioni, sia quella di Trump che quella di Biden. Di conseguenza, se ci fosse qualcosa di veramente compromettente su Trump, l’avrebbero già tirato fuori e usato. A questo punto, ci si chiede: “Perché Trump è contrario al rilascio?” Questa è la grande domanda che tutti si pongono.
Ci sono diverse ipotesi: qualcuno potrebbe avergli detto che il suo nome compare nei documenti, perché probabilmente è così, essendo comunque un personaggio legato a quel mondo dell’alta società di New York e avendo avuto dei contatti con Jeffrey Epstein, anche se non necessariamente positivi, soprattutto nella parte finale. Sappiamo che Jeffrey Epstein reclutava alcune delle sue vittime a Mar-a-Lago e una delle sue vittime più importanti, se non sbaglio la Giuffre, aveva già scagionato Trump in passato. Quindi, paradossalmente, è probabile che sia il partito democratico a essere più coinvolto nella situazione rispetto a quello repubblicano, anche se naturalmente ci sono anche dei politici repubblicani. Ma credo che Trump si sia spaventato per altri motivi, più semplicemente per i legami che Epstein aveva con l’intelligence israeliana, che sono stati confermati solo in parte e che stiamo ancora cercando di capire.
Credo che sia stato questo a fargli cambiare idea, provocando poi una debacle politica, perché è stato umiliato: quattro parlamentari repubblicani si sono alleati con un parlamentare democratico e hanno proposto una legge che obbliga il governo americano a rendere pubblici tutti i documenti in suo possesso. Questo ha trascinato dietro di sé tutti gli altri parlamentari repubblicani, che altrimenti avrebbero dovuto votare pubblicamente a favore della segretezza. Nessuno se la sentiva, a parte uno che ha votato contro. Nessuno voleva fare una figura del genere e, nonostante Trump abbia cercato di arginare il problema fino all’ultimo minuto, chiamando, per esempio, Marjorie Taylor Greene, una delle principali esponenti repubblicane di questa legge, non è riuscito a ottenere il consenso e a piegare i parlamentari repubblicani alla sua volontà. Alla fine, è stato quindi costretto a dichiarare di essere d’accordo e di volere il rilascio dei documenti. Ok, quindi onestamente vedremo cosa uscirà fuori. Sappiamo già che useranno l’argomento della segretezza e della confidenzialità per impedire la divulgazione delle informazioni più importanti, quindi non mi aspetto che vengano rivelate molte cose nel prossimo futuro.
Tuttavia, questa legge lascia aperta una porta, perché ci saranno persone che, a questo punto, utilizzando vari strumenti legali, avranno un punto d’appoggio per forzare il rilascio progressivo dei documenti e creare imbarazzo per vari politici. Credo che la maggior parte dei politici imbarazzati sarà sul fronte democratico, ma sicuramente ci saranno anche dei repubblicani. Sarà una cosa che uscirà un po’ per volta e ci vorrà un po’ di tempo. E seguiremo anche questo tipo di sviluppo. Ti ringrazio, Roberto, come sempre il tuo sito è mazzoninews.com, dove potrete seguire l’attività di Roberto. Ci vediamo il prossimo mese, a cavallo di Natale. Sì, d’accordo. Grazie. Allora, saluti a tutti. A presto.