Siamo arrivati alla quinta parte della serie sulle guerre dell’oppio e in questa puntata speciale ci addentreremo in un’ulteriore evoluzione della storia cinese legata al denaro, alle diverse dinastie che si sono avvicendate al governo dell’impero cinese e alla storia del denaro su carta. Vi chiederete perché ho deciso di realizzare questa serie relativamente lunga. Perché questa è la vostra storia, è quello che vi aspetta nel prossimo futuro, probabilmente nei prossimi 10 o 20 anni.
Infatti, ho avuto conferma che il progetto M-Bridge, che sarebbe il nucleo delle nuove valute digitali delle banche centrali e quindi anche dell’euro digitale, è stato sviluppato in Cina da sviluppatori cinesi, gli stessi che hanno messo a punto lo yuan digitale. Pertanto, con il passaggio all’euro digitale, il continente europeo, o perlomeno l’Eurozona, si troverà in una posizione decisamente più esposta all’interno del sistema economico cinese, in quanto i cinesi controlleranno di fatto il flusso di denaro. Sono loro che hanno sviluppato il codice, sono loro che possono monitorare tutto e sono loro che possono aprire o chiudere i rubinetti.
Questo è il percorso che ci attende. Naturalmente gli Stati Uniti manterranno un certo livello di influenza, soprattutto di tipo militare. Nel complesso, direi che è probabile che l’Europa diventerà il terreno di scontro economico tra Cina e Stati Uniti, dove i due paesi cercheranno di trovare una formula di coesistenza che è molto difficile, ma che può essere trovata gradualmente, lottizzando gli spazi europei e magari altri mercati. Magari l’America Latina piuttosto che l’Estremo Oriente o il Medio Oriente. Tuttavia, direi che la parte più critica è tutto il discorso, considerando anche la guerra in Ucraina che, non avendo prospettive di conclusione a breve termine, crea appunto una zona di crisi particolare. Questo è dovuto soprattutto al passaggio dell’intera Eurozona verso il sistema M-bridge, che è nel dominio cinese. Bene, per maggiore precisione, come siamo arrivati qui e dove stiamo andando?
La guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina ha già prodotto il primo risultato: ha definito chi potrà accedere alle economie statunitense e con che prezzi. Ci sono, quindi, alcune nazioni che hanno dichiarato di voler restare soprattutto nella sfera americana e che, quindi, ostacoleranno le importazioni indirette dalla Cina. Hanno già concordato un livello tariffario che è più o meno il 10%, mentre con la Cina sono in corso trattative lunghissime, estenuanti e probabilmente inconcludenti, che tuttavia portano a degli equilibri temporanei. Al momento, pare che la tariffa nei confronti della Cina sarà del 30%, salvo essere del 50% su alcuni articoli. Stanno definendo dei percorsi speciali per alcuni tipi di prodotti in modo da non bloccare le relative economie.
L’obiettivo è evitare uno sconto diretto, anche perché, come vi ho già detto, tutti i cambi all’interno del sistema economico globale, in particolare della valuta di scambio internazionale, sono sempre stati associati a guerre, in particolare alla prima e alla seconda guerra mondiale che hanno sancito l’avvicinamento tra la sterlina e il dollaro. Pertanto, nel caso in cui si passasse dal dollaro a un’altra moneta di scambio internazionale, e se questo avvenisse, le modalità di tale passaggio sarebbero probabilmente oggetto di altre azioni del programma mondiale. L’idea è quindi quella di avvicinarsi gradualmente a una suddivisione dei territori, a una ritirata strategica del dollaro da alcune aree e l’occupazione di altre aree, e di lasciare che i cinesi decidano cosa vogliono fare esattamente.
Come vedrete, probabilmente ci sarà un’evoluzione verso una moneta neutra, così da evitare uno sconto diretto, e questo ruolo può essere in parte soddisfatto dall’oro, ma solo in parte, perché l’oro ha delle limitazioni importanti che abbiamo già visto in passato e che non ripeteremo qui. In parte, questo ruolo può essere soddisfatto dal bitcoin, ma vedremo come. Tra l’altro, vi invito nuovamente a iscrivervi alla legione di Bitcoin, dove non soltanto offriamo informazioni utili e preziose su Bitcoin, ma anche sull’economia in generale e sui programmi più dettagliati degli Stati Uniti in materia economica e di strategia futura. Ribadisco l’invito.
Negli Stati Uniti, la guerra delle tariffe ha prodotto un effetto deflazionario e, soprattutto, sono scesi i prezzi degli immobili, i prezzi di alcuni prodotti di consumo primari e il prezzo della benzina in alcuni Stati è sceso addirittura sotto i 2 dollari, registrando una riduzione drastica rispetto ai 3 dollari e 50, 3 dollari e 40 a cui eravamo abituati sotto l’amministrazione Biden. Attualmente, quindi, gli Stati Uniti sono in un regime deflazionario e l’indice di inflazione ufficiale è inferiore al 2%, cioè meno della metà rispetto al periodo di Biden, quando era superiore al 5%. Nel frattempo, la Federal Reserve mantiene comunque tassi di interesse elevati perché si aspetta un aumento dell’inflazione. Vedremo se ciò avverrà, è possibile, ma al momento non si riscontra.
Ciò è dovuto anche a una serie di importanti fenomeni deflazionari. Il primo è quello delle tariffe: le tariffe o i dazi hanno già prodotto un effetto deflazionario nella prima presidenza Trump, perché inducono una riduzione dei consumi. Semplicemente, la gente compra meno o non compra più certi prodotti e ne compra altri. Inoltre, costituiscono una svalutazione del dollaro in generale e rappresentano una barriera rispetto alle importazioni, riducendo in qualche modo la pressione. L’effetto è sempre deflazionario. Inoltre, grazie anche alle recenti vittorie presso la Corte Suprema, potrà continuare l’espulsione di immigrati illegali. Questa espulsione ha un effetto evidentemente deflazionario, perché le persone espulse non ricevono più il sussidio governativo, non spendono più soldi per acquistare beni o affittare immobili e anche l’indotto, finanziato in parte dal governo, legato alla presenza di queste persone negli Stati Uniti, sparisce o diminuisce drasticamente. Inoltre, con l’attività di DOGE che, come vi ho detto, aveva licenziato 240.000 dipendenti statali governativi del governo federale, abbiamo 240.000 persone che non lavorano più e che, per il momento, sono entrate nella lista dei disoccupati con un certo ritardo.
Queste persone, infatti, non lavorano perché hanno ancora gli incentivi e la buonuscita, tuttavia il passo falso di DOGE è stato enorme.000 persone riduce il numero di occupati, quindi il livello occupazionale sta scendendo, anche perché molte persone che lavoravano in aziende collegate a questa attività e sostenute da queste 240.000 persone non hanno più lavoro e devono quindi ricollocarsi. In conseguenza di ciò, si osserva un calo del livello occupazionale, fenomeno associato anche a una ripulitura delle statistiche, considerando che nel periodo Biden, così come è accaduto nel 2020 con le persone che hanno votato per la prima volta, si è registrata una consistente diminuzione della forza lavoro.
Ciò ha comportato un ripulisti generale, tuttavia l’attività di DOGE è stata bloccata, perché se fosse continuata avrebbe provocato un collasso deflazionario paragonabile a quello del 2008 e naturalmente nessuno voleva che ciò accadesse. Per il momento, il focus è sulla conferma degli esecutivi fiscali, che sarebbero scaduti, e sull’approvazione di altre esenzioni fiscali che dovrebbero innescare un nuovo sviluppo dell’economia, soprattutto a livello medio e anche di alcune grandi aziende, ma soprattutto medio, e che quindi dovrebbero creare nuovi posti di lavoro per riassorbire le persone che stanno uscendo dall’impiego pubblico. Poi ci sarà un’altra fase importantissima: il taglio dei regolamenti statali e governativi che ostacolano il lavoro delle medie e piccole imprese negli Stati Uniti e che dovrebbero quindi rendere il mercato americano più competitivo.
Solo dopo si potrà ricominciare a tagliare dipendenti pubblici e spesa pubblica. Questo è il sistema: deriva da uno studio fatto da un economista che lavora in Cina, di origine però americana, che ha studiato a fondo l’economia cinese e le possibili relazioni tra Stati Uniti e Cina. Si è quindi tornati alla sequenza corretta. Sarà interessante vedere quali saranno i risultati: è ovvio che non sarà indolore, ci sarà sicuramente un gran numero di persone che perderanno il lavoro e che dovranno ricollocarsi. Tuttavia, uno dei progetti è anche quello di creare nuove scuole di formazione, soprattutto per le professioni intermedie, per le quali c’è più bisogno di specializzati, supervisori, persone in grado di programmare robot e persone in grado di lavorare con l’intelligenza artificiale.
Questa è dunque l’evoluzione verso cui si sta andando e, naturalmente, nel corso della stessa sarà necessario effettuare una serie di aggiustamenti progressivi con i cinesi che, ovviamente, perderanno posti di lavoro, vendite e, soprattutto, vendite grazie al blocco imposto dai paesi nell’orbita cinese che, scavalcando i blocchi tariffari già esistenti, facevano arrivare negli Stati Uniti, in particolare il Vietnam, i loro prodotti. Il Vietnam ha dichiarato di voler tagliare drasticamente questo tipo di importazione indiretta, anche perché ne va della sua sopravvivenza economica. Se ciò avvenisse, l’importazione dalla Cina dovrebbe ridursi di 5-10 punti percentuali, forse anche di 15, perché metà dei prodotti esportati dalla Cina verso gli Stati Uniti passava attraverso questi canali ufficiosi. Altri canali ufficiosi sono il Messico e il Canada.
Quindi, sarà un percorso continuo di aggiustamenti e di trattative tra Trump, Xi Jinping o chi lo sostituirà, perché si parla di sostituzione più o meno futura. Inoltre, ci sono dei movimenti all’interno del regime comunista cinese, con numerose purghe in corso anche ai livelli più alti. Dunque, chiunque porterà avanti queste trattative dovrà effettuare aggiustamenti periodici, perché sicuramente la Cina esporterà di meno verso gli Stati Uniti e gli Stati Uniti importeranno di meno dalla Cina e da altri partner, in particolare l’Europa. Questo è il percorso che stiamo attraversando e, mentre si procede, notiamo che la borsa americana si è ripresa, ma con cambiamenti interni alle aziende che stanno andando bene e che invece stanno morendo, e con un progressivo spostamento verso il settore industriale e energetico. Naturalmente, notiamo anche una diminuzione progressiva delle aziende cinesi.
Altre aziende verranno espulse, quindi probabilmente la borsa scenderà ancora o comunque si riassesterà di nuovo, perché si tratta di interventi fatti progressivamente. Si stima che sempre più soldi cinesi finiranno nell’oro e nelle borse europee, quindi in Europa vedrete probabilmente una crescita delle borse per il prossimo anno e per il successivo, con un corrispondente aumento dell’attività economica e naturalmente uno spostamento decisamente nella direzione della sfera cinese. L’Europa diventerà quindi probabilmente il campo di battaglia, sia fisico nella guerra in Ucraina sia economico nel confronto con la Cina.
La guerra in Ucraina prosegue, i russi sono intrappolati in un percorso da cui non possono uscire, non vogliono farlo a qualunque costo. Gli Stati Uniti, avendo il congresso approvato finanziamenti fino alla fine dell’anno, continueranno a fornire quello che hanno, anche perché costituzionalmente spetta al congresso decidere guerre, finanziamenti per le guerre e assistenza militare a paesi stranieri. Questa capacità può essere temporaneamente delegata al presidente, come è stato fatto nella guerra in Iraq e in Afghanistan, ma il congresso può riprendere il potere in qualsiasi momento. Vi ricordo che nell’altra amministrazione Trump è stato sottoposto a impeachment proprio perché aveva temporaneamente sospeso la fornitura di armi all’Ucraina.
Quindi, non ci sarà un blocco della fornitura di armi. Chi sostiene che sarebbe necessario non sa di cosa parla, perché semplicemente, finché il Senato sarà a favore della guerra e oggi 80 senatori su 100 sono totalmente a favore della guerra in Ucraina, non ci sarà nessun cambiamento su quell’aspetto, salvo ridurre gradualmente il supporto, cioè mano a mano che le forniture si esauriscono, i soldi si esauriscono e non ci sarà un rinnovo. Questo è quanto dichiarato dal ministro della Difesa americano durante un’interrogazione piuttosto vivace in Senato, nella quale è stato anche affermato che la nuova finanziaria non prevede altri stanziamenti per l’Ucraina. Si sta quindi andando in quella direzione, ma sarà un percorso lungo e i russi si stanno già preparando a una guerra diretta con i britannici, come ci è stato detto in vari modi e, probabilmente, diventerà realtà. Vedremo.
Di certo la guerra in Europa, come minaccia e come realtà, è destinata a essere lunga, probabilmente per tutto il 2025 e sicuramente per buona parte del 2026, e a proseguire. Vedremo, potrebbero esserci colpi di scena, ma al momento la situazione è piuttosto stabile. Gli Stati Uniti stanno comunque continuando a dialogare con la Russia per migliorare le relazioni reciproche e sappiamo che si incontreranno a Mosca per discutere della prossima fase. Adesso l’obiettivo è quello di ristabilire la presenza di ambasciate nei due paesi e ripristinare l’accesso ai conti bancari russi negli Stati Uniti, che sono stati bloccati da Obama. Si tratta di un lavoro piuttosto lungo che richiederà parecchio tempo. In ogni caso, e questo l’ho detto anche in passato, ripetuto più volte.
In molti mi hanno preso in giro per averlo detto, l’idea di Trump di porre fine alla guerra in un giorno o in un mese era piuttosto incredibile, anche perché la guerra in Vietnam, che vedeva tra l’altro gli americani direttamente coinvolti con perdite di vite di americani quotidiane, ha richiesto cinque anni prima di concludere un accordo di pace. Da quando gli americani e i vietnamiti hanno deciso di fare la pace e porre fine alla guerra sono passati cinque anni prima che ci riuscissero, quindi è verosimile che anche con l’Ucraina si parli di anni e non di mesi. Questa è la situazione. Perciò l’evoluzione sarà soprattutto critica per l’Europa, anche perché l’Europa si troverà coinvolta in due conflitti primari: un conflitto fisico, cinetico, in Ucraina che coinvolgerà le risorse europee e potenzialmente anche truppe europee, e un conflitto monetario economico che coinvolgerà Cina, Stati Uniti, Russia e la vecchia élite europea e britannica. Tutti cercheranno in qualche modo di sopravvivere, ma la prospettiva di sopravvivenza è faticosa ma discreta per Stati Uniti, Russia e Cina, mentre per tutti gli altri è piuttosto difficile.
Vedremo cosa succederà. L’idea è quella di farvi capire le dinamiche e farvi intravedere quello che potrebbe essere il futuro. Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno attraversando una grave crisi interna e stiamo assistendo a importanti cambiamenti storici. In California è in corso una rivoluzione colorata e Trump sta affrontando la situazione mobilitando i Marines; staremo a vedere cosa succederà. Si tratta sicuramente di un percorso estremamente volatile, in cui tanto la Cina quanto gli Stati Uniti emergeranno con strutture politiche differenti. Questo non significa che il Partito comunista cinese correrà in Cina, ma probabilmente ci sarà una nuova leadership con nuove politiche.
Negli Stati Uniti ci sarà un cambiamento profondo e potremo capire meglio di cosa si tratta. Nel frattempo, proseguiamo la nostra analisi sull’evoluzione dell’impero cinese in relazione all’uso della moneta cartacea, rifacendoci in parte al libro “Fiat paper money, the history and evolution of our currency” (Diritto di emettere moneta, la storia e l’evoluzione della nostra valuta) di Ralph Foster. Abbiamo già visto che due imperi cinesi sono crollati, sostanzialmente tre, a causa dell’uso del denaro su carta, un’invenzione cinese. È crollato persino l’impero tartaro, un impero di invasori che aveva adottato il sistema cinese a gioco forza.
Ora vediamo cosa succede con un nuovo invasore, i mongoli di Gengis Khan e di Kublai Khan, e come si comporteranno nel confronto con la realtà cinese e con il sistema valutario sviluppato in Cina. Ecco il video.
Con la conquista degli Imperi Chin e Sung, i Mongoli acquisirono il controllo di oltre 100 milioni di sudditi in più. Per governare su di loro, i Mongoli istituirono la dinastia Yuan e adottarono molti metodi amministrativi copiati dai Chin e Sung.
Ma le due popolazioni conobbero destini molto diversi sotto i Mongoli. Mentre i Sung meridionali furono trattati come cittadini di seconda classe ed esclusi da posizioni importanti, i Chin furono accolti nel nuovo governo e divennero insegnanti e consiglieri dei nomadi invasori.
Notate che la Cina resiste al cambiamento qualunque sia l’invasore oppure la nuova dinastia che sale al potere, al punto che persino i Mongoli hanno dovuto adeguarsi al modello economico già esistente.
Notate inoltre che il nome dell’attuale valuta cinese, lo yuan, deriva dal nome della dinastia mongola che fece del denaro su carta una delle sue politiche primarie.
L’amministrazione mongola si scontrò presto con una sfida cruciale: unire le diverse realtà economiche e culturali delle regioni conquistate.
La dinastia Yuan affrontò questa sfida integrando non solo sistemi amministrativi ma anche approcci economici innovativi.
Tra questi, fu fondamentale l’introduzione di un sistema monetario più stabile.
La cartamoneta, largamente utilizzata dalla popolazione cinese, divenne il fulcro delle riforme finanziarie, ma fu accompagnata da un’attenta regolamentazione e da misure di controllo per evitare il pericolo della svalutazione.
Questa politica economica non solo consolidò l’autorità dei Mongoli sulla vasta regione ma incentivò anche il commercio interno e internazionale.
I mercanti e le classi medie videro un’opportunità per prosperare sotto gli Yuan, stabilendo così una parziale coesione sociale tra i popoli conquistati.
Tuttavia, le tensioni etniche e le profonde divisioni culturali continuarono a permeare la società imperiale, rendendo la stabilità un obiettivo perpetuamente precario.
I mongoli stessi non avevano bisogno di cartamoneta per la loro economia tradizionale nomade, basata principalmente sul baratto e sul commercio di beni tangibili come il bestiame.
Tuttavia, mentre assorbivano vaste aree della Cina e altre regioni più urbanizzate, dovettero adattarsi ai sistemi esistenti per facilitare il commercio e mantenere il controllo amministrativo.
Emisero spesso monete e cartamoneta che rispecchiavano quelle delle dinastie precedenti, integrandosi così nel tessuto economico locale.
La prima cartamoneta attribuita ai Mongoli, emessa tra il 1227 e il 1228 da un comandante mongolo durante le campagne contro i Chin nel nord, era direttamente modellata sulle banconote cinesi.
Questa moneta, chiamata hui-tzu, era sostenuta da seta, un materiale di grande valore che ne aumentava la fiducia e l’accettazione tra la popolazione.
Il nome stesso, hui-tzu, richiamava quello delle banconote di Hangzhou, un segno della continuità e dell’adattamento culturale.
Per un certo periodo, i Mongoli emisero nuovamente il chiao-ch’ao per garantire stabilità nella regione e uniformare il commercio.
La loro politica economica non si limitava all’emissione di moneta; introdussero anche pratiche innovative come regolamenti stringenti sul valore delle banconote e sistemi di controllo per prevenire la svalutazione.
Questo approccio non solo consolidò la loro autorità, ma incentivò anche il commercio interno e internazionale, promuovendo la prosperità di mercanti e classi medie.
Nel quadro di una Cina unificata sotto la dinastia Yuan, i Mongoli affrontarono la sfida di integrare una popolazione variegata e un’economia complessa.
I consiglieri cinesi di Kublai Khan, il nipote di Gengis Kahn e il fondatore della dinastia Yuan in Cina, suggerirono misure per creare un sistema monetario nazionale uniforme, che avrebbe facilitato il commercio e garantito la coesione tra le regioni conquistate.
Questo sistema, sebbene innovativo, fu anche soggetto a contraccolpi inflazionistici e a tensioni dovute alle profonde divisioni culturali ed etniche, rendendo la stabilità un obiettivo sempre difficile da raggiungere.
L’eredità delle riforme mongole, tuttavia, resta significativa nella storia economica della Cina, dimostrando come l’adattamento e l’integrazione possano trasformare una società, anche nelle circostanze più avverse.
Yeh-lii Ch’u-ts’ai (1190-1244), uno dei consiglieri più rispettati di Kublai Kahn, espresse delle riserve, avvertendo che l’emissione di cartamoneta non regolamentata avrebbe potuto portare a una grave spirale inflazionistica, come già accaduto sotto i Chin.
Yeh-lii raccomandò quindi l’introduzione di una valuta sostenuta da riserve d’argento per garantire stabilità e fiducia tra la popolazione.
Nel 1260, il khan decise di seguire una linea di prudenza e ordinò la stampa di una nuova cartamoneta, il chung-t’ung, strettamente regolamentata e sostenuta dall’argento.
Libero da restrizioni regionali o temporali, il chung-t’ung circolò in tutta la Cina, diventando uno strumento essenziale per il commercio e il governo.
Il sistema prevedeva anche l’istituzione di uffici provinciali per monitorare l’emissione e il ritiro della moneta, prevenendo così gli squilibri economici.
L’introduzione di questa nuova politica monetaria rappresentò uno degli esempi più significativi di adattamento culturale e amministrativo da parte dei Mongoli.
Questo approccio non solo dimostrò la loro capacità di apprendere dalle tradizioni cinesi, ma contribuì anche a consolidare il loro controllo sull’impero.
Tuttavia, nonostante questi sforzi, le difficoltà nel bilanciare l’economia con le profonde divisioni culturali rimasero un punto critico, evidenziando le sfide di governare un territorio così vasto e diversificato.
Per i primi anni il valore della nuova moneta fu ben mantenuto.
Come nei primi tempi della moneta dei Sung meridionali, apparentemente il volume di denaro in circolazione in costante aumento corrispondeva alla costante crescita della domanda di moneta, man mano che il suo utilizzo si diffondeva nell’impero.
La cartamoneta permetteva una maggiore facilità nel commercio, agevolando sia i mercanti locali che quelli internazionali, che cominciarono a considerare la moneta un mezzo pratico e universale per le transazioni.
I cinesi accettarono prontamente la nuova moneta.
La cartamoneta era un concetto familiare, già radicato nella cultura economica della regione.
Tuttavia, il suo successo non era dovuto solo alla familiarità ma anche alla severa autorità imposta dai mongoli.
La natura spietata dei loro padroni aveva fatto sì che i cinesi temessero per la loro vita e accettassero il nuovo sistema senza resistenze significative.
Si racconta che perfino le élite urbane, spesso restie ai cambiamenti, adottarono rapidamente la moneta per timore di rappresaglie.
Gli stessi mongoli, di tanto in tanto, lasciavano intendere che la Cina fosse più preziosa come terra da pascolo che come nazione popolata.
Questo atteggiamento, sebbene intimidatorio, sottolineava l’importanza strategica della stabilità economica per evitare disordini o ribellioni.
Le tesorerie istituite nelle province garantirono ulteriormente che il flusso di moneta fosse monitorato, prevenendo la svalutazione e mantenendo la fiducia degli abitanti.
Così, la cartamoneta, nata come strumento per integrare un vasto impero, non solo semplificò il commercio ma divenne anche un simbolo di unità e controllo amministrativo.
Per mantenere un valore uniforme e ispirare fiducia nel chung-t’ung, nel 1268 il governo istituì un sistema di uffici di stabilizzazione noti come Tesorerie del Rapporto Equo.
Situato in ogni capoluogo di provincia, questo ufficio era un luogo in cui le banconote potevano essere immediatamente riscattate in monete o in lingotti d’oro e d’argento. L’oro e l’argento, pur essendo legali da possedere, erano stati vietati nel commercio dal 1262.
Questi uffici svolgevano un ruolo cruciale non solo nel garantire la stabilità economica ma anche nel rafforzare la fiducia della popolazione nel nuovo sistema monetario.
Gli ufficiali incaricati avevano il compito di monitorare costantemente la circolazione della cartamoneta e di intervenire in caso di segnali di potenziale inflazione o disordini economici.
Questo approccio proattivo evitava crisi improvvise e permetteva un controllo centralizzato delle risorse.
Inoltre, il sistema incentivava il commercio internazionale, poiché mercanti provenienti da regioni lontane sapevano di poter scambiare facilmente la cartamoneta con beni o metalli preziosi.
Questo aiutò a consolidare la reputazione della Cina come centro economico affidabile e avanzato, attirando carovane e navi commerciali da tutta l’Asia e oltre.
Le Tesorerie del Rapporto Equo rappresentavano, quindi, non solo un’innovazione amministrativa, ma anche un simbolo del potere e della modernità dell’Impero Yuan.
PERSIA
Mentre cavalcavano verso ovest per espandere il loro impero, i mongoli conquistarono la Persia. Gaikhatu Khan, un parente di Kublai, fu scelto per amministrare la regione. Ma la sua stravaganza mandò presto in bancarotta il tesoro.
Nel 1294, fu avvicinato da un funzionario persiano, Ezuddeen Muzuffer, che suggerì che la cartamoneta avrebbe potuto risanare le finanze del governo. Ispirandosi al modello Yuan, Muzuffer sostenne che la carta avrebbe attirato l’intera ricchezza della nazione nel tesoro se fatta circolare al posto dei metalli preziosi.
Tuttavia, Muzuffer non considerò le profonde radici culturali e la preferenza dei Persiani per i metalli preziosi, che sin dai tempi antichi fungevano da simbolo di stabilità e ricchezza.
Il piano fu portato avanti con grande entusiasmo, e furono organizzati laboratori dedicati alla produzione delle banconote.
A parte una sofisticata strategia di stampa che prevedeva l’uso di scritture arabe e cinesi, furono designati funzionari esperti per supervisionare il processo e garantirne l’efficacia.
Ciononostante, la diffidenza nei confronti di questa idea rivoluzionaria si trasformò rapidamente in ostilità.
La popolazione non solo rifiutò di adottare la nuova moneta, ma rispose con proteste e azioni che paralizzarono il commercio e l’economia persiana.
Nel tentativo disperato di salvare la situazione, furono fatte ulteriori promesse di prosperità e uguaglianza tra ricchi e poveri, scritte direttamente sulle banconote.
Tuttavia, la popolazione non si lasciò convincere. La sfiducia verso la cartamoneta crebbe ancora di più, culminando in una serie di rivolte violente che misero fine all’ambizioso progetto di Gaikhatu Khan.
Per la prima emissione di carta si fecero preparativi elaborati. Nelle città di tutta la Persia furono istituiti uffici con funzionari qualificati, molti dei quali provenienti dalla Cina, per amministrare la moneta.
Le banconote furono stampate con testo arabo e cinese: su ogni banconota c’era un’iscrizione araba che diceva che le banconote erano state emesse nell’anno 693 dell’era musulmana (1294 d.C.), che tutti coloro che emettevano banconote false dovevano essere puniti sommariamente e che “quando queste banconote di buon auspicio fossero state messe in circolazione, la povertà sarebbe scomparsa, le provviste sarebbero diventate a buon mercato e ricchi e poveri sarebbero stati uguali”.
Tuttavia, nonostante l’ottimismo nel linguaggio e l’apparente cura posta nella realizzazione del progetto, la realtà era ben diversa.
I mercanti e la popolazione persiana, radicati nella tradizione dei metalli preziosi, percepirono la cartamoneta come simbolo di instabilità e manipolazione economica.
Il tentativo di creare un sistema che unisse le culture mongola e persiana attraverso la moneta si scontrò con una resistenza culturale profondamente radicata.
Per cercare di guadagnare la fiducia del popolo, furono organizzate cerimonie e distribuite banconote come segno di un nuovo inizio.
Si promosse l’idea che la cartamoneta fosse il preludio a una prosperità senza precedenti, capace di rivoluzionare il commercio e portare armonia sociale.
Tuttavia, le promesse solenni e gli sforzi pubblicitari non riuscirono a cambiare il sentimento popolare.
Le banconote vennero rapidamente percepite come prive di valore reale, incapaci di competere con la solidità dei metalli preziosi che avevano definito l’economia persiana per secoli.
In un disperato tentativo di salvare il progetto, furono offerti incentivi come prestiti agevolati e riduzioni fiscali a coloro che accettavano la nuova valuta.
Ma tutto ciò non fece altro che alimentare la sfiducia e aggravare la situazione. Il malcontento generale si trasformò presto in vere e proprie rivolte, con mercanti che chiudevano i negozi e la popolazione che ricorreva al baratto per sopravvivere.
La cartamoneta, da innovazione promettente, diventò il simbolo di una crisi che avrebbe segnato un capitolo nero nella storia economica della Persia.
Ma i Persiani usavano già da secoli i metalli preziosi. L’idea di usare la carta come moneta era incomprensibile.
La loro reazione fu immediata e violenta. Piuttosto che operare con la carta, i mercanti si rifiutarono di fare affari. Le merci in vendita furono rimosse dagli scaffali.
Il caos economico si diffuse rapidamente, creando un clima di instabilità senza precedenti. Le strade delle città persiane furono invase da folle arrabbiate che protestavano contro quella che percepivano come un’imposizione autoritaria.
La fiducia nelle istituzioni subì un duro colpo, e la cartamoneta divenne il simbolo di un fallimento politico ed economico.
Nel tentativo di contenere la crisi, Gaikhatu Khan e il suo governo adottarono ulteriori misure drastiche, tra cui l’introduzione di decreti che minacciavano punizioni severe per chiunque rifiutasse la nuova moneta.
Tuttavia, queste minacce non fecero altro che esasperare il malcontento già dilagante. I mercanti, temendo per la propria sicurezza e per il proprio sostentamento, iniziarono a ricorrere a sistemi paralleli di scambio, basati esclusivamente sui metalli preziosi.
La cartamoneta persiana, così come quella cinese in altre epoche, necessitava di un supporto tangibile, come un sistema di riserve in oro e argento, per guadagnare credibilità.
La mancanza di tale supporto rese l’intero sistema vulnerabile e incapace di sopravvivere.
Alla fine, Gaikhatu Khan fu costretto a revocare l’editto che autorizzava la cartamoneta, segnando la fine di un ambizioso esperimento che avrebbe potuto rivoluzionare l’economia persiana.
La lezione appresa dalla crisi persiana servì da monito per altre civiltà. L’idea di una moneta fiat, pur innovativa, richiedeva una profonda comprensione delle dinamiche culturali ed economiche di una società.
Per 596 anni, la Persia rimase fedele ai metalli preziosi, riflettendo un ritorno alla stabilità e alla tradizione.
LA MONETA YUAN DIVENTA FIAT
I grandi progetti di opere pubbliche e l’ossessione mongola per la conquista hanno imposto pesanti oneri finanziari alla Cina della dinastia Yuan.
Il canale imperiale, lungo 1100 miglia, fu ricostruito e ampliato per collegare Hangchow a Khanbalik, la nuova capitale mongola. Considerato un investimento a lungo termine, il progetto fu in parte motivato dalla necessità di controllare il Fiume Giallo e di facilitare il trasporto delle risorse necessarie alla città imperiale.
A ciò si aggiunsero diverse spedizioni militari e navali non andate a buon fine, che prosciugarono ulteriormente le casse dello Stato.
Mentre il successo dei Mongoli a est era stato sbalorditivo, il loro avanzamento trovò ostacoli insormontabili nelle giungle del sud-est asiatico.
Ancor più penosi furono gli insuccessi in mare: due enormi flotte dirette in Giappone furono distrutte dai tifoni, episodi che diedero origine al mito del “kamikaze”, il vento divino.
Questi fallimenti, oltre a comportare una grave perdita di vite e risorse, misero in luce i limiti dell’espansione mongola.
Per finanziare tali ambizioni, il governo Yuan si affidò sempre più alla stampa di cartamoneta, una soluzione che sembrava rapida ma che portò a conseguenze devastanti. L’aumento incontrollato dell’emissione monetaria non solo provocò un’inflazione galoppante, ma distrusse anche la fiducia nella valuta.
La popolazione, già gravata da tasse elevate e instabilità economica, fu costretta a tornare a sistemi di baratto o a utilizzare monete delle dinastie precedenti, considerate più affidabili.
Questo deterioramento del sistema economico contribuì a una crisi che minò ulteriormente il già fragile controllo mongolo sul territorio cinese.
Stampare altra moneta era una soluzione allettante. Ma come in precedenza, la gente notò presto il crescente volume di banconote in circolazione e si manifestarono i primi segni di inflazione.
Con l’aumento dei prezzi, molti si rivolsero ai metalli preziosi per trovare stabilità, solo che il governo chiuse gli uffici di stabilizzazione. La gente si ritrovò in mano carta senza alcun supporto.
I funzionari della dinastia Yuan avevano intrapreso un percorso di spesa che rendeva impossibile qualsiasi riduzione delle emissioni cartacee.
Il Tesoro, messo alle strette, continuò a inondare il mercato di cartamoneta quasi priva di valore.
Solo per pagare l’esercito, occorrevano lunghe file di barche e carri per trasportare le banconote alle basi militari. Le banconote persero ogni credibilità.
Per peggiorare la situazione, il popolo iniziò a manifestare apertamente il proprio dissenso. Le rivolte non erano più solo episodi isolati, ma si trasformarono in movimenti organizzati che sfidarono direttamente l’autorità centrale.
Il malcontento non si limitava agli strati più bassi della società: anche i mercanti e gli artigiani, una volta pilastri del sistema economico, erano ormai schiacciati dall’instabilità finanziaria.
I villaggi più remoti, privi di qualsiasi fiducia nella gestione monetaria del governo, iniziarono a creare propri sistemi di scambio basati su beni materiali facilmente barattabili, come grano, sale e tessuti.
In parallelo, la pressione esercitata dai nemici esterni, combinata con l’incapacità del governo Yuan di gestire adeguatamente il caos interno, portò a un progressivo deterioramento della loro autorità.
L’adozione disastrosa della cartamoneta non fu solo un errore economico, ma un catalizzatore per il declino della dinastia.
Questo periodo di crisi lasciò un’eredità indelebile, dimostrando come una cattiva gestione finanziaria possa rapidamente trasformarsi in una crisi politica e sociale di proporzioni devastanti.
IL DECLINO DEL VALORE DEL CHUNG-T’UNG
(Moneta cartacea della dinastia Yuan)
Gli uomini di Stato e gli studiosi erano ben consapevoli delle difficoltà finanziarie del loro Paese.
Wang Yun (1227-1304) criticò il ritiro dei lingotti dagli uffici di cambio perché rendeva le banconote inconvertibili.
Nel 1303, Zheng Jiefu fece pressione per il ripristino delle monete metalliche come mezzo di scambio, perché erano affidabili e tangibili.
Cheng Jufu (1249-1318) sottolineò che il popolo accumulava monete proprio per questi motivi e si oppose fermamente ai controlli governativi che limitavano l’accumulo privato di monete.
Mentre gli studiosi e i politici discutevano, il pubblico continuava a sentire gli effetti devastanti di una moneta fallita.
Nel 1340, la serie di misure legali per controllare il valore della moneta paralizzò sia i produttori che i salariati. Una massiccia inflazione aveva spazzato via generazioni di lavoro e di risparmi.
La popolazione, ormai stremata, si trovava intrappolata in un ciclo di povertà e disperazione, con pochi strumenti per migliorare la propria condizione.
I mercanti, una volta motore del commercio e della prosperità, erano ormai soffocati da un sistema economico inefficiente e instabile.
Insurrezioni, rivolte e malcontento divennero comuni in Cina. Sebbene gran parte dell’astio fosse diretto all’occupazione mongola in generale, una buona parte era motivata dal caos monetario.
Le campagne si svuotarono, con intere comunità che migravano in cerca di opportunità migliori, mentre i centri urbani si trasformarono in focolai di agitazioni sociali. Questa instabilità minò ulteriormente l’autorità centrale, rendendo sempre più difficile per la dinastia Yuan mantenere il controllo.
Nel frattempo, gli stati vicini osservavano con attenzione il declino della dinastia. Alcuni iniziarono a pianificare incursioni e invasioni, sperando di approfittare del caos interno.
Altri, rafforzarono le proprie difese temendo che l’instabilità potesse riversarsi oltre i confini.
La dinastia Yuan cadde definitivamente nel 1368, sostituita dalla dinastia Ming, che avrebbe cercato di imparare dagli errori dei suoi predecessori.
Questo capitolo della storia cinese rimane un potente ammonimento sugli effetti disastrosi di una cattiva gestione finanziaria, non solo sull’economia, ma anche sulla stabilità politica e sociale di un’intera nazione.
Come vediamo, il denaro su carta è stato una maledizione costante per i cinesi, che nemmeno invasori feroci come i mongoli sono riusciti a modificare. Di conseguenza, è molto improbabile che anche nell’epoca moderna le trattative tra Stati Uniti e Cina possano portare a qualcosa. La Cina ha una caratteristica: si basa su un modello stabile che si ripete nel tempo e che di fatto non modifica, ma si adatta alle nuove realtà politiche ed economiche. Questo modello ha funzionato per loro in passato e continuerà a funzionare, almeno dal loro punto di vista. Si sta spostando, nel caso della Cina, verso l’oro e vedremo, non in questo video, più avanti quali sono i problemi in tal senso.
Tuttavia, quello che volevo farvi capire è che, nonostante gli annunci entusiasti di Trump e di una potenziale soluzione cinese, non ci sarà nessuna soluzione. I cinesi continueranno per la loro strada, con piccoli aggiustamenti che sono incompatibili con l’evoluzione americana. Gli americani, invece, andranno in tutt’altra direzione, con strappi progressivi, e in mezzo, tra i due litiganti, il terzo gode, e quello che sembra godere di più sarà probabilmente l’Europa e, in particolare, l’Eurozona. In passato, la Cina era legata in modo fondamentale alla Persia, che corrisponde all’odierno Iran, e quindi è probabile che l’Iran sia ancora parte della scena. Non possiamo escludere che ci sia una guerra o perlomeno un intervento militare americano in Iran, considerando l’evoluzione delle relazioni tra Cina e Stati Uniti.
L’Iran è fondamentale per l’approvvigionamento energetico della Cina e la Russia sta cercando di compensare, ma l’Iran è ancora indispensabile. Inoltre, la guerra in Iran ha un forte sostegno all’interno del Congresso, in particolare del Senato, e sarebbe quindi molto facile da realizzare. Vedremo, Trump ci dice che preferirebbe evitarlo, ma sembra che la direzione sia in quel senso. Di certo sarebbe un problema, ma fa parte del sistema, ha sempre fatto parte del sistema e continuerà a farne parte.
La cosa interessante è che diversi commentatori economici americani, molto competenti e non gente che parla tanto per parlare, hanno fatto un parallelo illuminante tra la storia degli Stati Uniti e la storia dell’impero romano, perché i fondatori degli Stati Uniti si sono ispirati parecchio alla storia dell’impero romano, cercando di mutuare modelli politici che potessero funzionare e cercando anche di capire quali limitazioni potevano riproporsi, visto che il modello viene un po’ da lì. Tant’è che, quando Franklin uscì dall’Assemblea Costituente, gli chiesero che tipo di governo avessimo e lui rispose la famosa frase: “Abbiamo una repubblica, se riuscirete a mantenerla”.
Oggi in discussione c’è il fatto che la repubblica possa sopravvivere. Inoltre, si è parlato di un sistema politico interno estremamente polarizzato. In un’intervista recente, è stato detto che gli Stati Uniti fanno un ribaltone ogni 50 anni e si reinventano, e questo è abbastanza verosimile, corrisponde anche abbastanza a quello che stiamo vivendo. Questi autori, Commentatori e investitori che gestiscono fondi anche di altri hanno fatto un paragone molto interessante tra gli Stati Uniti e la parte finale della Repubblica Romana, come riportato nel libro di Mike Duncan “The Storm Before the Storm”, “La tempesta prima della tempesta”.
Il libro si concentra in particolare sul periodo storico che va dal sacco di Cartagine nel 146 a.C. fino alla guerra di Numanzia in Spagna, che per i Romani assomigliava molto alla guerra in Afghanistan, sia come risultati, sia come riforma agraria, l’ex agraria di Tiberio Gracco nel 133 a.C. Infatti, per la maggior parte dei cittadini della Repubblica Romana, la conquista del Mediterraneo con la caduta finale di Cartagine aveva comportato grandi privazioni e non prosperità; i cittadini romani si erano impoveriti moltissimo e la riforma agraria puntava a risolvere i problemi causati da forti tensioni fiscali interne.
Tale periodo, iniziato appunto con Tiberio Gracco, proseguirà fino al 78 a.C. e in quel periodo la Repubblica Romana fu impegnata in numerose guerre esterne e guerre civili interne, che portarono a uno stravolgimento della struttura repubblicana, in cui il popolo si schierò contro il Senato, che aveva acquisito troppo potere e perseguiva interessi esclusivamente personali. Questo periodo si concluse con la morte di Lucio Cornelio Silla, il primo dittatore a vita, e l’ascesa al potere di Giulio Cesare. Questo periodo ci fa quindi capire che siamo molto lontani dal crollo degli Stati Uniti come realtà; tutt’altro, c’è ancora moltissimo che deve succedere prima che si esca da questa situazione.
Per fare un paragone, il momento attuale è praticamente coincidente con la rivolta dei fratelli Gracchi, dal 133 al 122 a.C., e il confronto tra USA e Cina è semplicemente un capitolo che continuerà ancora per molto tempo, anche perché l’attuale struttura statale è stata costruita nell’arco di 50 anni e non può essere smontata in sei mesi o un anno. Non sappiamo, quindi, come gli Stati Uniti usciranno da questo percorso. È molto probabile che la Repubblica venga riformata, ma il processo sarà lungo. Gli esperti di storia americana ci dicevano che ogni 50 anni c’è una grossa crisi, tutto o gran parte si distrugge e poi si ricostruisce.
Bene, siamo in quella crisi, vedremo cosa succederà, ma questo significa che entro i prossimi 50 anni ci sarà un’altra crisi ancora più importante e, naturalmente, tutto sarà piuttosto movimentato. L’obiettivo è evitare quello che è accaduto naturalmente con la caduta dell’impero romano: in quel caso, infatti, c’erano nazioni armate di armi nucleari e uno scontro globale potrebbe portare all’annullamento del pianeta. Quindi l’obiettivo è evitare uno scontro diretto e, semmai, spostare lo sforzo verso uno scontro globale a livello economico e valutario, cosa che è già in atto e che abbiamo visto manifestarsi nelle prime misure tariffarie e di salvaguardia. Queste misure sono solo un primo passo di un lungo percorso che porterà a una profonda trasformazione dell’intero sistema.
Nessuno può sapere come andrà a finire, se non che tutti stanno cercando di usare le armi migliori. Come si suol dire, vinca il migliore, ma la cosa più importante è che non si arrivi a uno scontro cinetico diretto tra Cina e Stati Uniti, cosa che non è nell’interesse di nessuno dei due paesi, né tantomeno tra Cina e Russia. Direi che, al momento, il problema è abbastanza lontano per Stati Uniti e Russia, che non hanno interesse a scontrarsi; invece, esiste un grosso interesse da parte di Francia, Gran Bretagna, Germania e paesi baltici a scontrarsi direttamente con la Russia. Vedremo cosa succederà, ma siamo entrati in un periodo di estrema volatilità in cui dovrete prepararvi, nel migliore dei casi, a una situazione di crisi lunga e di lungo periodo con una riduzione della liquidità, come sta già succedendo in Cina.
Quello che vi propongo adesso è una visione dello stato attuale del sistema bancario cinese, attingendo al lavoro di un giornalista indipendente cinese, Don Xiang, che avete già visto nel video precedente. Alla fine, darà anche alcuni consigli che, a mio parere, sono validi anche per l’Europa. Nel video si parla di PMI (Purchasing Managers Index), che è un indicatore economico che riflette la salute del settore manufatturiero e dei servizi di una particolare nazione. Viene ricavato da indagini mensili e l’indice che si ottiene, se è al di sopra del 50%, indica espansione economica; se è al di sotto del 50%, indica contrazione, mentre se è esattamente 50%, vuol dire che non c’è cambiamento e che l’economia, in termini produttivi, è abbastanza stabile. Sempre nel video si parla di punti base, che corrispondono a centesimi di punto percentuale. Ora vi propongo il video di Xiang.
[Don Xiang]
Buongiorno, sono Don Xiang. Benvenuti a Digging into China, dove esploriamo la Cina in profondità per esaminare prospettive uniche. Il movimentato mese di aprile è arrivato e se n’è andato e, senza dubbio, la storia economica più significativa è stata l’escalation della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Nonostante le dichiarazioni ufficiali cinesi minimizzino l’impatto, insistendo sul fatto che le tensioni non hanno prodotto alcun effetto sostanziale sull’economia cinese, la realtà spesso risiede nei dati che passano inosservati. Esaminiamo due recenti indicatori economici. In primo luogo, il PMI manifatturiero cinese di aprile è sceso al di sotto della soglia critica del 50%, registrando un valore di appena il 49%.
Questa cifra è inferiore a qualsiasi mese dell’anno precedente. In secondo luogo, il valore dei nuovi ordini per l’esportazione all’interno del PMI è sceso bruscamente al 44,7%, un livello allarmante e molto vicino a quello che abbiamo visto durante la pandemia. Chiaramente, l’impatto della guerra commerciale sulle esportazioni si sta intensificando rapidamente. Inoltre, la crescita del PIL cinese del 5,4% nel primo trimestre, che è stata pubblicizzata come robusta, è stata analizzata a fondo nelle nostre discussioni precedenti, rivelando una significativa esagerazione ed evidenti segni di manipolazione delle cifre riportate.
Oggi ci rivolgiamo a un indicatore più affidabile dell’economia, i rapporti relativi ai servizi finanziari e bancari. Le sei principali banche statali cinesi hanno recentemente pubblicato i risultati del primo trimestre per il 2025 e tali risultati sono piuttosto rivelatori. Collettivamente, queste banche hanno registrato un calo dell’1,51% dei ricavi e un calo del 2,09% dell’utile netto. In sostanza, persino le banche statali hanno difficoltà a generare guadagni. Dobbiamo ricordarci che le banche fungono da canale centrale per il flusso di fondi nella società. Quindi, se i loro profitti si stanno riducendo, quanto è credibile l’affermazione dell’Ufficio Nazionale di Statistica di un aumento del PIL del 5,4% nel primo trimestre? Quale banca statale ha registrato la performance peggiore in termini di profitto nell’ultimo trimestre?
Sorprendentemente, è stata la Banca Industriale e Commerciale della Cina, spesso considerata la più grande banca del mondo, insieme alla seconda più grande banca, la China Construction Bank. La Banca Industriale e Commerciale della Cina ha visto i suoi ricavi diminuire del 3,22% e il suo utile netto diminuire del 3,99%. I ricavi della China Construction Bank sono diminuiti del 5,4%, con un utile netto in calo del 3,99%. Da queste cifre, emerge uno schema. Più grande è la banca, maggiore è l’impatto negativo che sembra dover affrontare. Perché sta succedendo tutto questo? Quando l’economia cinese incontra problemi sistemici, le banche faticano a emettere prestiti, a guadagnare interessi e a gestire l’aumento dei crediti inesigibili. Più grande è l’istituzione, più significative sono le sue sfide e più difficile è nasconderle. Così, non importa quanto ottimisticamente l’Ufficio Nazionale di Statistica dipinga l’economia come stabile e in miglioramento, questi rapporti bancari contraddicono nettamente tali affermazioni. Successivamente, consideriamo il margine di interesse netto, il profitto che le banche guadagnano dai prestiti che emettono. In parole povere, un margine più alto indica una maggiore redditività, mentre uno più basso segnala difficoltà nell’attività centrale di ciascuna banca, che consiste nell’emissione di prestiti.
Nel primo trimestre del 2025 i margini di interesse netti di tutte e sei le principali banche statali sono diminuiti, scendendo al di sotto della soglia critica dell’1,8 %. La migliore performance registrata, che viene imputata alla Cassa di Risparmio Postale, ha ottenuto solo l’1,71%. Il rendimento più basso è stato quello della Banca delle Comunicazioni, che si è fermato appena all’1,23%. Anche la Banca Industriale e Commerciale della Cina, la cosiddetta più grande banca del mondo, ha registrato un margine di appena l’1,48%, in calo di 29 punti base rispetto all’anno precedente, il calo più marcato tra le sei. La tendenza è chiara. Più grande è la banca, maggiori sono le sfide che deve affrontare. Le più grandi banche statali devono far fronte a crescenti pressioni. La gestione di attività più grandi porta a problemi più grandi e a rendimenti decrescenti. L’era dei profitti senza sforzo guidati dal boom immobiliare è finita da tempo. Quindi, in che modo le banche possono generare reddito, ora? I prestiti comportano il rischio di crediti inesigibili. L’investimento in titoli di Stato potrebbe vacillare se la banca centrale intervenisse.
Eppure, devono mantenere un’apparenza di stabilità mentre lottano per competere e guadagnare. È una posizione precaria. La terza metrica è quella di grande interesse pubblico, il tasso di crediti deteriorati anche detto “rapporto sui crediti non performanti”. Per anni, il sistema bancario cinese ha lavorato instancabilmente per mantenere stabile questa cifra, riportando rapporti dell’1,2%, 1,3% o addirittura dello 0,9% per alcune banche. Ma in un contesto di crollo dei valori immobiliari, fallimenti aziendali, crollo della spesa dei consumatori e crisi del debito del governo locale, è davvero possibile che questo numero rimanga invariato? Faccio fatica a crederci. Esaminiamo i dati del primo trimestre per il 2025 per vedere se c’è qualche cambiamento.
Alla fine del trimestre, il tasso medio di crediti deteriorati per le sei principali banche statali era di circa l’1,28%, pressoché invariato o leggermente inferiore alla fine dello scorso anno. Ad esempio, la Banca Industriale e Commerciale della Cina ha riportato l’1,33%, la Banca Agricola ha riportato l’1,28% e la Banca della Cina ha riportato l’1,25%, con variazioni di soli 0,01 punti percentuali. Questo ci darebbe l’impressione di una situazione stabile. Ma tale stabilità si ottiene attraverso ampie manovre finanziarie, cancellando i crediti inesigibili, estendendo i termini di rimborso, ristrutturando il debito, riclassificando i rischi o spostando i crediti inesigibili in altre categorie, come ad esempio quella dei crediti sotto osservazione. Ironia della sorte, mentre la qualità dei prestiti aziendali sembra migliorare, i prestiti personali, quelli presi dai cittadini comuni, stanno registrando un aumento delle percentuali di crediti inesigibili. Ad esempio, la Banca delle Comunicazioni ha riferito che il suo tasso di crediti deteriorati per prestiti personali è aumentato dall’1,08 %, alla fine dello scorso anno, all’1,18 % dello scorso trimestre.
Nel frattempo, secondo quanto riferito, i tassi di crediti inesigibili dei prestiti societari sono diminuiti. Ciò suggerisce che le imprese ricevono un trattamento preferenziale, come il rinnovo dei prestiti per coprire i vecchi debiti, mentre ai cittadini comuni non viene concessa la stessa clemenza. Per quanto riguarda le banche private quotate in borsa, alcune sembrano mantenere stabile la qualità degli attivi con bassi indici di crediti deteriorati. Ma i loro accantonamenti, le riserve per potenziali crediti inesigibili, sono diminuiti in modo significativo.
Ciò implica che le basse percentuali di crediti inesigibili non sono dovute a una riduzione del rischio, ma piuttosto a una scelta deliberata di sottostimare i rischi e di rilassare gli accantonamenti per gonfiare i profitti. La Sharman Bank ne è un esempio lampante. Nel primo trimestre, il suo rapporto di crediti deteriorati è stato tra i più bassi per le banche private quotate in borsa, ad appena lo 0,86%, in aumento solo dello 0,12% rispetto allo scorso anno. Tuttavia, il suo tasso di copertura degli accantonamenti è diminuito drasticamente, passando dal 392 % al 314 %, con un calo di 78 punti base percentuali.
Si tratta di un segno apparente di riduzione del rischio che tuttavia è fittizio. La banca sta intenzionalmente rilassando gli accantonamenti per aumentare i profitti. Riconoscendo un minor numero di crediti inesigibili e liberando riserve, i profitti vengono aumentati artificialmente. Ciò crea l’illusione di una qualità stabile degli attivi, limitandosi a rinviare i rischi al futuro, attraverso tattiche contabili. La quarta matrice riguarda i cambiamenti nella struttura creditizia delle banche. In particolare, chi ha ricevuto i prestiti nel primo trimestre? Le banche prestano di più alle imprese, ai governi locali oppure ai privati? Questi cambiamenti offrono una visione del vero stato della società cinese. La tendenza generale mostra che le sei principali banche statali hanno aumentato i prestiti alle imprese, con un ritmo molto più rapido rispetto ai prestiti personali. Ad esempio, i prestiti alle imprese della Cassa di Risparmio Postale sono cresciuti del 9,92%, della China Construction Bank dell’8,16% e della Banca Agricola del 7,62%.
Al contrario, la crescita dei prestiti personali è variata da appena l’1% al 2%, con alcune banche che hanno visto i prestiti personali quasi in stallo. Ciò indica che le imprese e i progetti governativi accedono ai fondi, ma i cittadini comuni non prendono in prestito. Perché? Una mancanza di fiducia da parte del pubblico. La fiducia dei consumatori rimane bassa, i prezzi delle case continuano a scendere e i proprietari di piccole imprese vedono poche speranze per il futuro. Prendere in prestito denaro senza mezzi per ripagarlo non è attraente, quindi le persone semplicemente si astengono. I prestiti alle imprese possono sembrare solidi, ma sono meno incoraggianti a un esame più attento.
Molti di questi prestiti sono diretti a imprese statali, progetti infrastrutturali o piattaforme di finanziamento del governo locale; quindi, sono riservati ad entità con sostegno governativo. Le banche prestano a queste aziende perché le insolvenze sono improbabili, ma questi prestiti spesso non riescono a stimolare un’autentica attività economica. Il settore ipotecario è ancora più preoccupante. Nel primo trimestre, la crescita dei mutui ipotecari presso le sei principali banche ha subìto un forte rallentamento. Banche come la China Construction Bank, la Banca Agricola e la Cassa di Risparmio Postale, che un tempo prosperavano grazie ai prestiti ipotecari, stanno ora registrando una crescita minima in questo settore.
Con le case che non vendono e i consumatori che non sono disposti ad acquistare, le banche stanno ridimensionando i prestiti. Questi cambiamenti nella struttura dei prestiti rivelano una cruda realtà. Il governo sta sostenendo le infrastrutture, le banche stanno dando priorità ai progetti governativi, le imprese sono in attesa di indicazioni e i cittadini comuni sono assenti dall’economia. Il denaro continua a circolare, ma la fiducia ha smesso di fluire. In sintesi, cosa ci dicono sulla Cina i rapporti finanziari del primo trimestre delle sei principali banche statali?
Raffigurano una nazione che sembra stabile in superficie, ma che è fondamentalmente fragile. I bilanci riportano profitti, che tuttavia sono sostenuti attraverso enormi sforzi silenziosi. L’attività economica persiste, ma il sentimento dell’opinione pubblica si è raffreddato. Osserviamo un calo sia dei ricavi che dei profitti delle banche, indicando che il motore dei profitti del settore bancario sta vacillando. Osserviamo una contrazione dei margini di interesse netti, a dimostrazione del fatto che il modello di prestito tradizionale è sempre più insostenibile.
Notiamo che i rapporti tra crediti deteriorati appaiono stabili, ma solo a causa di sofisticate tattiche contabili e finanziarie che manipolano i numeri. Infine, assistiamo a un cambiamento nelle priorità di prestito, con le banche che incanalano più fondi verso i mutuatari governativi e aziendali, mentre i prestiti personali e i mutui ristagnano. In particolare, i crediti inesigibili dei prestiti personali stanno aumentando più rapidamente.
È evidente che, in Cina, i cittadini comuni sono i primi ad essere trascurati dal governo. Le imprese possono ancora accedere al credito per sopravvivere, ma gli individui sono sempre più tagliati fuori. In una sola frase, l’economia cinese non è crollata, ma si è raffreddata in modo significativo. I rischi non sono ancora esplosi, ma si stanno accumulando. Le banche continuano a concedere prestiti, ma i dati sottostanti sono sempre più inaffidabili. L’Ufficio Nazionale di Statistica può pubblicizzare cifre del PIL manipolate, ma i rapporti finanziari bancari basati su denaro reale non possono essere fabbricati. Questi rapporti articolano una realtà che tutti percepiscono, ma pochi osano esprimere. L’economia cinese è in declino. Cosa dovrebbe fare la gente comune in risposta a questi segnali?
In primo luogo, non fidarsi ciecamente delle narrazioni della ripresa economica. Si possono acquisire i dati sul PIL e l’assicurazione del governo di una ripresa, ma non dovrebbero essere presi per oro colato. La verità è evidente nella vostra vita quotidiana.
Il vostro reddito è aumentato? Potete vendere la vostra casa a un prezzo ragionevole? Vengono offerti incentivi al consumo? Le opportunità di lavoro stanno crescendo o diminuendo? Se le banche medesime adottano un atteggiamento prudente, come si può rimanere ottimisti? In secondo luogo, gestite i vostri debiti con prudenza. In passato, i prestiti venivano presi con fiducia nel futuro.
Ora le banche sono restie a concedere prestiti personali, segno che riconoscono l’inaffidabilità del credito alle famiglie. Se avete un mutuo oppure un prestito al consumo, evitate decisioni finanziarie rischiose a breve termine. Preservare il flusso di cassa è fondamentale. Le promesse di un massiccio stimolo o di un rimbalzo del mercato immobiliare dovrebbero essere ascoltate, ma non messe in pratica impegnandosi nell’acquisto di un nuovo immobile. In terzo luogo, salvaguardate le vostre riserve di liquidità e il vostro lavoro.
Le banche stanno ora concedendo prestiti a entità con garanzie statali, come le imprese statali o i settori ad alta tecnologia sostenuti da scelte politiche centralizzate. Gli individui comuni non dovrebbero più aspettarsi un sostegno politico. Nella Cina di oggi, meno si corrono rischi, maggiori sono le possibilità di resistere a questo inverno economico. Viceversa, più si è ambiziosi, maggiore è il rischio di diventare una vittima del sistema.
Si tratta di una considerazione fondamentale.
Si osserva quindi che il credito alla popolazione civile in Cina è in calo, il credito al consumo interno per difendere naturalmente le aziende che si vogliono far sopravvivere. Tuttavia, questo indica un circolo vizioso, perché i cinesi vorrebbero alimentare il mercato interno per dare sfogo alla propria produzione e non dover esportare così tanto, ma non possono farlo perché il consumatore cinese è penalizzato. Sostengono le aziende e, a questo punto, sono costrette a esportare a chiunque a qualsiasi prezzo.
Di conseguenza, il confronto tariffario con gli Stati Uniti e la chiusura progressiva di tutti questi rivoli paralleli che comunque fanno arrivare le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti, che sono ancora al 30% del prodotto complessivo industriale cinese, impattano direttamente sulla capacità produttiva e sullo stato delle banche cinesi. L’economia cinese è in declino, ma lo è insieme al resto del mondo, incluso il mercato americano. Su questo non c’è nessun dubbio. Adesso si tratta di fare una svolta importante per i cinesi: trovare nuovi canali di vendita, trovare degli accomodamenti con gli americani o, ancora meglio, conquistare il mercato europeo, sostituendo i produttori europei con i propri prodotti e il proprio capitale. Secondo me, i cinesi si stanno già apprestando a fare questo.
Per quanto riguarda problemi americani, è necessario aumentare la produttività interna. Inoltre, è necessario ridurre i consumi, perché il consumatore americano è il migliore in assoluto. I cinesi ce lo dicono: è un consumatore che compra tanto, spesso e paga subito, cosa che invece non succede, per esempio, con i consumatori del gruppo BRICS o di altre nazioni con cui la Cina abbia rapporti, che sono sempre importanti, ma meno strategici da un punto di vista della sopravvivenza del sistema economico.
Il resto del mondo dovrà adeguarsi e l’adeguamento non è così chiaro e definito, perché anche il sistema BRICS presenta una serie di elementi positivi, ma al momento non ha una valuta centralizzata. La famosa valuta BRICS non si vede e non sembra che i paesi del gruppo intendano crearla, anche perché la Cina dovrebbe modificare i sistemi di controllo dei capitali interni per crearla. Intende farlo perché ritiene che sarebbe estremamente pericoloso per la sopravvivenza del Partito comunista.
Gli Stati Uniti, invece, credo che applicheranno dei controlli sui capitali, già li stanno facendo. Quindi, dopo le tariffe, verranno i controlli sui capitali. Sarà una partita sul lungo periodo, una partita giocata sui soldi, dove di nuovo un ruolo determinante verrà giocato da loro e da Bitcoin.
Roberto Mazzoni