Corporativismo 2.0 – il ruolo delle grandi aziende nel grande reset

L’economia segue regole molto precise e semplici che sono state alterate di proposito nel corso della storia al fine di renderla confusa e complessa così che possa essere utilizzata come strumento di controllo d’intere popolazioni a beneficio di pochi eletti.

Per questo motivo nascono da zero e senza nessuna verifica sul campo, numerose teorie economiche che hanno l’unico scopo di favorire l’arricchimento e il mantenimento del potere a beneficio di una combriccola di politicanti, finanzieri ed affaristi (un affarista è una persona che sa come fare gli affari anche a discapito della morale).

Questo è il caso dello stakeholder capitalism definito dal professor Klaus Schwab fondatore e presidente del World Economic Forum, di cui parliamo in dettaglio in un video separato.

Lo stakeholder capitalism è l’elemento centrale del più vasto progetto di Grande Reset sociale proposto dal World Economic Forum e dall’International Monetary Fund.

Al progetto hanno aderito anche diversi amministratori delegati di grandi società multinazionali quotate solitamente a Wall Street. Questi manager sono diventati i promotori più accaniti dello stakeholder capitalism come alternativa al capitalismo tradizionale che secondo loro ormai è morto.

L’intervento di questi personaggi, collegati al mondo dell’alta finanza internazionale, fa evolvere lo stakeholder capitalism in un modello più chiaro e facilmente paragonabile a un precedente storico importante.

Come lo stakeholder capitalism diventa corporativismo

Dal punto di vista di un amministratore delegato (CEO) di una grande società, lo stakeholder capitalism funziona nel modo seguente:

Grazie al supporto economico continuo delle banche centrali e in particolare della Federal Reserve, le grandi multinazionali quotate a Wall Street ricevono un costante flusso di denaro a interessi zero che utilizzano solitamente per comperare le proprie azioni sul mercato facendone salire il prezzo senza nessuna corrispondenza con un miglioramento nei conti economici e nella produttività aziendale che può anche scendere e che scenderà sicuramente seguendo i principi dello stakeholder capitalism promosso dal WEF.

La crescita del valore delle azioni aumenta la ricchezza personale dell’amministratore delegato che solitamente riceve una parte sostanziosa del proprio compenso sotto forma di azioni e può anche ricevere premi legati al valore delle azioni aziendali.

Gli speculatori guadagnano rivendendo le azioni al valore gonfiato prima che si sgonfi.

I piccoli investitori, che di solito investono sul lungo periodo attraverso fondi comuni che gestiscono le azioni per loro, restano invece bloccati con una bomba economica pronta a esplodere com’è già accaduto nel 2008.

Il fatto di usare il denaro ricevuto dalla banca centrale non sia utilizzato per sviluppare la propria attività oppure per creare riserve da utilizzare in momenti di crisi, lascia l’azienda indebolita e crea una distorsione del mercato.

I valori della borsa vengono gonfiati ben oltre un livello legittimo creando una bolla pronta a esplodere in ogni momento e le aziende che avrebbero dovuto fallire vengono mantenute in vita. Diventano come zombie che infettano l’economia continuando a seguire le stesse politiche fallimentari che le hanno portate in quelle condizioni in primo luogo.

Tali aziende usano poi il denaro ricevuto dalla banca centrale a interessi zero per acquistare altre aziende creando così veri e propri monopoli e aumentando ulteriormente il prezzo delle azioni al di là del reale valore dell’azienda.

I colossi monopolistici così creati hanno il potere di influenzare i politici e l’andamento del mercato.

Seguendo i dettami dello stakeholder capitalism, il management aziendale, anziché usare i fondi personali che rimangono intatti, ridurrà i profitti che sarebbero dovuti agli azionisti e li dirotterà verso l’elezione di politici che porteranno avanti programmi “per il bene comune” approvati dal World Economic Forum e dall’International Monetary fund.

I piccoli azionisti perderanno gran parte del proprio guadagno e la possibilità di sostenere cause filantropiche di propria scelta.

I politici, una volta eletti, aumenteranno le tasse sulla popolazione ed elimineranno le scappatoie fiscali seguendo le direttive del World Economic Forum.

I politici useranno quindi i soldi raccolti con le tasse per imporre i programmi sociali definiti dal World Economic Forum e finanzieranno gli opinion leader e i media affinché convincano la gente con ogni strumento disponibile che questa sia la cosa giusta da fare.

Gli amministratori delegati useranno i profitti tolti agli azionisti per finanziare i media e gli opinion leader affinché promuovano i programmi del Grande Reset.

Si crea una nuova piramide di potere con al vertice il World Economic Forum, l’International Monetary Fund e le banche centrali.

Subito sotto troviamo gli amministratori delegati e il top management delle grandi multinazionali.

Al terzo livello compaiono infine i politici, gli opinion leader e i media.

La popolazione è all’ultimo posto e non ha più voce in capitolo sulle scelte sociali importanti e ha un controllo molto ridotto della propria economia individuale.

Quindi lo stakeholder capitalism dà il potere al management delle grandi corporation affinché gestiscano, per conto dell’WEF e dell’IMF, la classe politica e gli opinion leader che saranno in grado di manipolare l’opinione pubblica.

Si tratta di un governo da parte delle corporazioni che prende il nome storico di corporativismo vale a dire l’economia del fascismo.

Precedenti storici del corporativismo

Se guardiamo la storia dell’Italia fascista vediamo che il corporativismo era una teoria economica espressa nella carta del lavoro del 1927 che si poneva come alternativa tra il capitalismo del libero mercato e il comunismo.

Lo stato fascista aveva la funzione di regolare l’economia del Paese per anteporre l’interesse nazionale a quello individuale. Nella nuova versione abbiamo gli interessi delle élite economiche mondiali anteposti a quelli dei singoli Paesi e dei singoli individui.

Poiché si tratta di un progetto globale, il Grande Reset non può utilizzare direttamente i singoli governi nazionali, ma li deve gestire attraverso le corporazioni multinazionali che già operano senza frontiere.

La sostituzione del potere politico con quello corporativo è già una caratteristica del fascismo che nel 1930 istituì il Consiglio nazionale delle Corporazioni fissate a un numero massimo di 22. Il Consiglio soppiantò completamente il parlamento italiano nel 1939 col nome di Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Un altro aspetto tipico del fascismo che ritroviamo nello stakeholder capitalism di Klaus Schwab, è il sussidio statale offerto a quelle industrie e imprese considerate d’interesse nazionale. In pratica il fascismo favoriva l’impresa privata a condizione che facesse comodo agli interessi dello stato e favoriva le aziende più grandi che avevano potere decisionale sulla vita economica del Paese.

Possiamo quindi considerare lo stakeholder capitalism un’edizione aggiornata del corporativismo fascista, che chiameremo quindi corporativismo 2.0.

Come ai tempi del fascismo italiano, l’alternativa al Grande Reset è il capitalismo del libero mercato, anche detto neoliberalismo, definito in tempi recenti da Milton Friedman.

Come ammesso dagli stessi esperti del World Economic Forum e dell’International Monetary Fund, l’uso del modello di Friedman da parte di numerose nazioni ha bloccato la nascita dello stakeholder capitalism per cinquan’anni.

Il modello di Friedman non è perfetto, ma la stragrande maggioranza delle critiche in circolazione sono campagne denigratorie promosse dall’IMF e dal WEF e addossano a Friedman colpe che non gli competono.

Se ha funzionato per cinquant’anni, il neoliberalismo può ancora bloccare il Grande Reset oggi.

 

Roberto Mazzoni

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