Demorazia e Repubblica: quali sono le differenze

Per questa carrellata attingiamo al lavoro di due storici americani molto famosi: Hendrick van Loon e Will Durant. Quest’ultimo è stato anche filosofo ed è insignito del premio Pulitzer e della medaglia presidenziale della libertà, la massima riconoscenza per un civile negli Stati Uniti.

Il sistema di governo democratico è stato concepito per la prima volta nell’antica Grecia e trova nella città di Atene la sua prima espressione completa.

La parola Democrazia significa alla lettera: “governo del popolo” vale a dire il governo da parte della maggioranza. Le decisioni vengono prese in base alla scelta del maggior numero di persone che partecipa alla votazione. Nell’antica Grecia vigeva il sistema della Democrazia diretta dove il popolo si riuniva e votava direttamente su ogni singola questione. Tale sistema è ancora utilizzato ai nostri giorni nella gestione democratica di piccoli gruppi come ad esempio una riunione di condominio.

Nel caso di una nazione, dov’è difficile informare il popolo e farlo partecipare in maniera diretta in ogni singola decisione, si usa solitamente il sistema di Democrazia rappresentativa.

In questo caso le decisioni vengono prese da un ristretto numero di persone che viene eletto direttamente dal popolo con elezioni tenute a intervalli regolari.

La parola Democrazia identifica anche le nazioni che usano questo sistema di governo o, più in generale, il trattamento equo delle persone all’interno di un’organizzazione e alle quali viene riconosciuto il diritto di partecipare in qualche modo al processo decisionale.

La storia della Democrazia classica ateniese ci mostra chiaramente le limitazioni del sistema democratico puro e semplice. L’economia greca del tempo si basava interamente sull’uso degli schiavi a cui erano riservati gran parte dei lavori manuali.

Di fatto la Democrazia dell’antica Atene coinvolgeva circa 150.000 cittadini su una popolazione che includeva dai 250.000 ai 400.000 schiavi senza diritto di voto. C’erano anche 70.000 persone che non avevano la cittadinanza e che perciò non  votavano. Infine solo una porzione molto ridotta dei cittadini abilitati al voto aveva il tempo di recarsi ad Atene 40 volte l’anno per partecipare alle riunioni e argomentare le proprie proposte.

La giustizia veniva amministrata da corti composte da una massa di giudici popolari scelti a caso dall’elenco dei cittadini, così numerosi da non poter essere corrotti tutti insieme. Ad esempio, nel processo contro il famoso filosofo Socrate tenuto nel 399 avanti Cristo, furono impiegati 500 giudici.

Il sistema era talmente inefficiente e affidato all’umore della folla, che tutti i principali filosofi greci, da Socrate a Platone, e per concludere con Aristotele, lo hanno condannato aspramente, desiderando che al suo posto s’insediasse ad Atene un regime aristocratico.

Aristocrazia significa alla lettera “il governo da parte dei migliori” ma si traduce più comunemente nel governo da parte di una classe privilegiata che non è necessariamente composta dagli elementi migliori della società e che ottiene la propria posizione su base ereditaria.

La conclusione a cui i grandi filosofi greci erano giunti era che l’Uomo, quando agisce all’interno di un gruppo numeroso, segue la legge del branco e si lascia andare a una violenza e a una crudeltà che non mostrerebbe mai se preso individualmente. Inoltre la folla giunge a decisioni affrettate per poi pentirsene quando è ormai troppo tardi e si abbandona a discussioni interminabili senza alcun risultato.

La folla inoltre viene influenzata dagli oratori che la sobillano in continuazione e non riesce a utilizzare il senno e la conoscenza che sono necessarie nel gestire gli affari dello Stato.

Per questo motivo, la Democrazia classica di Atene fu un sostanziale fallimento. Era costantemente nel caos, pilotata dalla classe dei mercanti e minacciata costantemente da un’aristocrazia che ambiva al controllo e che giunse persino a tentate una rivoluzione aristocratica.

La democrazia diretta contro il comunismo classico

Inoltre Atene era in constante lotta con il regime militare di Sparta, che si basava sui primi concetti organizzativi del comunismo classico definito dallo statista spartano Licurgo, e arrivato fino ai tempi più moderni. Un regime politico privo di attrattiva intellettuale, ma fortissimo sul fronte militare e organizzativo. Fin dall’epoca greca classica vediamo quindi la Democrazia in costante lotta con il comunismo, senza che nessuno dei due riesca sostituire l’altro.

Quando Sparta riuscì a conquistare militarmente la disorganizzata Atene, lo fece a spese della propria economia agraria che ne uscì distrutta. Atene, benché sconfitta, continuò a prosperare grazie al flusso commerciale costante del suo porto, che ha sempre avuto un’importanza strategica.

Già in quell’epoca vediamo quindi che la Democrazia trovava il suo abbinamento naturale con la classe dei commercianti che costituivano una prima forma di capitalismo e che miravano a controllare la Democrazia da dietro le quinte facendo leva sulle proprie ricchezze.

Fu Platone, allievo di Socrate, che cercò di evolvere il concetto di Democrazia originale presentando il suo testo La Repubblica creato nel 375 avanti Cristo e scritto come una serie di dialoghi ipotetici in cui il suo maestro Socrate discute su numerosi temi dalla giustizia alla corretta forma di governo.

La Repubblica come alternativa alla Democrazia

La parola Repubblica significa alla lettera “occuparsi della cosa pubblica” il che sottintende la nomina di persone incaricate di occuparsi degli affari dello Stato senza dover consultare il popolo per ogni singola decisione, ma potenzialmente sottoposti al giudizio popolare oppure al giudizio aristocratico secondo un meccanismo elettorale.

Il termine oggi è considerato sinonimo di Democrazia rappresentativa, seguendo l’impostazione delle repubbliche moderne che prevedono una suddivisione dei poter in tre rami: il parlamento che fa le leggi, il governo che le applica nella gestione ordinaria dello Stato e la magistratura che le fa rispettare.

Il livello di rappresentatività e di controllo incrociato cambia molto da nazione a nazione con situazioni assurde dove persino il regime comunista cinese, che ha un solo partito, prende il nome di Repubblica Popolare Cinese, com’era già successo per la Russia sovietica e come avviene ancora oggi per la Corea del Nord, Cuba, Venezuela e Vietnam, tutte nazioni che si autoproclamano repubbliche pur essendo regimi comunisti.

In questo caso il significato di Repubblica è semplicemente qualsiasi governo che sia controllato da un capo di Stato che non è un monarca, con una forma di rappresentatività molto variabile o del tutto assente per il popolo comune. L’uso indiscriminato della parola Repubblica per identificare i regimi più disparati ne ha offuscato il significato che può essere trasformato in qualsiasi cosa, anche un regime totalitario, senza neanche dover cambiare il nome.

Per capire il significato originale di Repubblica, dobbiamo tornare all’omonimo testo in cui Platone descrive in modo molto preciso le varie forme di governo e i relativi difetti e che crea una netta distinzione tra il concetto di Democrazia e quello di Repubblica, identificando una forma ideale di governo repubblicano che definisce egli stesso un’utopia.

La fine della democrazia

Secondo Platone, gli uomini non si accontentano mai di una vita semplice: sono avidi, ambiziosi, competitivi e gelosi. Si stancano presto di quello che hanno e si struggono per quello che non hanno; e di rado desiderano qualcosa che già non appartenga ad altri.

Il risultato è l’invasione del territorio altrui, la rivalità tra i gruppi per le risorse del suolo e quindi la guerra. Si sviluppa il commercio e la finanza che portano a nuove divisioni di classe. Qualsiasi città è di fatto composta da due città diverse: una dei poveri e una dei ricchi, ciascuna in guerra con l’altra; e in ciascuna divisione ce ne sono altre più piccole, secondo Platone, commettereste un grave errore se le consideraste un solo Stato o una sola città.

Nasce una borghesia mercantile, i cui membri cercano di procurarsi una posizione sociale attraverso la ricchezza e il consumismo vistoso. Questi cambiamenti nella distribuzione della ricchezza portano a cambiamenti politici. Poiché la ricchezza dei mercanti è superiore a quella dei proprietari terrieri, l’aristocrazia cede il passo alla oligarchia plutocratica.

L’oligarchia è letteralmente “il governo nelle mani di pochi”, con connotazioni solitamente negative, mentre la plutocrazia è “il governo da parte dei ricchi”.

L’arte della conduzione dello Stato, che consiste nel coordinare le forze sociali e nel definire regole che facilitino la crescita, si trasforma invece in politica che è la strategia di un partito contro l’altro e la conquista del bottino derivato dall’ottenere una carica pubblica.

Ciascuna forma di governo tende a morire per un eccesso dei principi fondamentali su cui si basa.

L’aristocrazia rovina se stessa limitando in modo troppo ristretto il proprio cerchio di potere; l’oligarchia si rovina per la corsa dissennata verso l’accumulo di ricchezza immediata. In entrambi casi il risultato è una rivoluzione che all’inizio sembra basata su questioni di poco conto o capricci, ma benché possa scatenarsi da una causa minore è il risultato cumulato di gravi torti che raggiungo una massa critica. Quando un organismo è debilitato da malanni trascurati, la più piccola esposizione può provocare una malattia seria.

A questo punto viene la Democrazia e il più povero ha la meglio sui propri avversari, massacrandone alcuni ed esiliandone altri; e consegna al popolo una quota uguale di libertà e di potere.

Ma persino la Democrazia rovina se stessa tramite l’eccesso democratico. Il suo principio fondamentale consiste nel diritto di tutti a poter coprire cariche pubbliche e a determinare le politiche dello Stato. Di primo acchito questa appare una sistemazione ottimale, ma diventa disastrosa perché la gente non è adeguatamente preparata nel selezionare i governanti migliori e i corsi di condotta più saggi.

La gente non capisce e non fa altro che ripetere ciò che ai suoi governanti garba di dire. Per fare in modo che una dottrina venga accettata oppure rifiutata è solo necessario che venga lodata o ridicolizzata in uno spettacolo popolare.

La legge della folla è un mare tempestoso che la nave dello Stato deve attraversare con difficoltà; ogni nuovo vento che proviene da un oratore increspa le acque e modifica il corso della navigazione. Il risultato finale di questo genere di Democrazia è la tirannia oppure l’autocrazia (un governo in cui una sola persona ha poteri illimitati).

La folla adora essere adulata a tal punto che fa salire al potere il più vile e spregiudicato adulatore che si presenta come il “protettore del popolo”.

Platone era allibito all’idea di lasciare che il capriccio e la creduloneria della folla determinassero l’elezione dei rappresentanti politici, senza considerare come questa situazione lasciasse campo libero agli oligarchi che tirano le fila del potere da dietro le quinte.

La sua obiezione primaria è che, laddove per il lavoro del calzolaio ci si aspettava una persona esperta nella fabbricazione e nella riparazione delle calzature, nella politica basta sapere come ottenere i voti per conquistare il governo di un’intera città oppure di un intero Stato senza avere poi la competenza per governarli.

Secondo lui, la filosofia politica deve puntare a risolvere questi problemi fondamentali in modo da impedire l’ascesa al potere d’incompetenti o di furfanti.

La qualità del governo dipende quindi dalla qualità dei cittadini che lo eleggono, dalla loro comprensione e statura morale, e dalla loro capacità di riconoscere le persone sbagliate.

La sua soluzione prevedeva la formazione di un’aristocrazia politica, intesa come un corpo di persone selezionate con un percorso di formazione e di verifica molto stringenti da cui scegliere quindi i candidati per la conduzione dello Stato. Era un’aristocrazia politica molto diversa dalla classe corrotta e inefficiente conosciuta nel milleseicento e nel millesettecento che basava il mantenimento della propria posizione sul diritto di nascita e sull’applicazione di un regime dispotico. L’aristocrazia che Platone vedeva a capo della Repubblica veniva prima selezionata in base ai meriti e quindi veniva eletta con un sistema democratico dal popolo oppure da altri aristocratici. Questo approccio avrebbe garantito la competenza e la statura morale dei candidati e al tempo stesso avrebbe mantenuto un impianto democratico alla base della loro scelta.

I tre catalizzatori del comportamento umano

Platone riteneva che il comportamento umano derivasse da tre fonti fondamentali: il desiderio, l’emozione e la conoscenza. Queste tre caratteristiche sono presenti in ciascuno di noi, ma in proporzioni diverse.

Alcuni di noi sono la personificazione del desiderio e dell’avidità. Sono completamente assorbiti in dispute materiali e sono consumati dallo sfrenato desiderio del lusso e dell’ostentazione, e misurano i guadagni già ottenuti come insignificanti rispetto agli obiettivi sempre più ambiziosi che si pongono. Questi individui sono perfetti per dominare e manipolare l’industria e il commercio.

Altri sono un tempio di emozione e di coraggio, a cui non importa molto di ciò per cui combattono, ma semmai puntano alla vittoria di per sé. Sono combattivi anziché avidi. Il loro orgoglio deriva dal potere anziché dal possesso, la loro gioia è su campo di battaglia e non nei mercati del mondo. Questi sono gli individui che compongono gli eserciti e le flotte militari del mondo.

Infine abbiamo gli individui che godono del comprendere e del meditare sulle cose, che non aspirano agli averi terreni e nemmeno al potere, ma alla saggezza e alla verità. Sono il tipo di individui che vengono solitamente lasciati da parte e che non vengono utilizzati appieno dalla società.

La Repubblica ideale di Platone avrebbe quindi i mercanti che si occuperebbero della produzione e ne riceverebbero in cambio la ricchezza, ma che non potrebbero governare. Le forze militari verrebbero mantenute dai mercanti e si occuperebbero della protezione dello Stato, ma non potrebbero partecipare al governo e nemmeno al commercio.

Infine le forze della ragione e della saggezza potrebbero governare indisturbate senza doversi preoccupare della lotta contro i nemici e nemmeno del proprio sostentamento. Condurrebbero una vita modesta e vivrebbero in comunità tra di loro, così come avviene anche per i militari.

Ma non potrebbero arrivare alle posizioni di potere senza prima aver superato numerose prove sempre più difficili per qualificarne le capacità e per farli partecipi in prima persona di tutte le altre attività così che possano conoscere direttamente ciò che devono governare.

Poiché il governo di uno Stato è una scienza e un’arte, bisogna aver vissuto abbastanza ed essersi preparati abbastanza per poterlo affrontare.

La trave portante della filosofia politica della Repubblica di Platone è quindi far sì che i re o capi di Stato siano filosofi e i filosofi siano re o capi di Stato. Questa utopia non è mai stata realizzata completamente, ma ci sono due casi in cui ha trovato un’applicazione almeno parziale.

Applicazioni storiche della Repubblica di Platone

I romani applicarono il concetto di Repubblica con un certo successo eliminando la monarchia dei re di Roma nel 509 avanti Cristo e continuarono con il governo repubblicano fino al 27 avanti Cristo. In questo periodo Roma si espanse dai confini della città per incorporare l’intero Mediterraneo. Il Senato nominato dall’aristocrazia con una modesta partecipazione del popolo supervedeva l’operato di due consoli nominati congiuntamente per la durata di un anno e che avevano poteri molto estesi, tra cui la cura dello Stato, la magistratura, la legislazione, il controllo degli eserciti e della religione. I consoli si alternavano nello svolgimento dei compiti così da non avere troppo potere concentrato nelle mani di un singolo individuo.

Gli storici ci dicono che il secondo esempio di applicazione su vasta scala della formula definita nella Repubblica di Platone è il governo secolare istituito nella Chiesa Cattolica dalla caduta dell’impero romano, a cui si è sostituita, fino alla fine del Medio Evo. Gran parte dei funzionari romani presenti al momento della caduta dell’impero sono confluiti all’interno della Chiesa Cattolica, l’unica entità restante per attuare una qualsiasi forma di governo nelle terre prima controllate da Roma. E’ naturale che quindi portassero con loro un impianto governativo simile a quello della repubblica romana.

Nel Medio Evo troviamo rappresentate le tra classi definite da Platone: il primo potere rappresentato dal clero, il secondo potere rappresentato dall’aristocrazia militare e il terzo potere che includeva tutto il resto della popolazione a partire dai ricchi mercanti per passare dai piccoli proprietari terrieri che erano diventati uomini liberi per arrivare ai servi della gleba, vale a dire contadini costretti a lavorare nei campi che appartenevano a qualcun altro, l’equivalente medievale degli schiavi dell’antica Grecia e dell’antica Roma.

La vita comunitaria e ritirata degli ordini monastici, rappresentava la componente filosofica staccata dalle cure terrene, che in qualche modo influenzava ed abbracciava anche le altre aree della Chiesa.

Il Papa veniva eletto da un’assemblea dei suoi pari dopo essere stato preselezionato attraverso la sua precedente nomina a cardinale. Gli stessi cardinali spesso provenivano dalle famiglie che appartenevano all’aristocrazia feudale, quindi quest’ultima aveva voce nella selezione del Papa. Il popolo non era coinvolto nell’elezione, ma dobbiamo considerare la preponderante componente religiosa abbinata alla nomina.

La nobiltà feudale incaricata della difesa militare, ma subordinata al Papa in materia di governo, era la seconda componente.

Da notare che nei primi secoli i titoli di nobiltà feudale non erano ereditari, ma venivano guadagnati in battaglia e nel servizio nei confronti della Chiesa.

Infine il popolo dedicato alla produzione e al commercio, responsabile del mantenimento degli altri gruppi, era la terza fascia e riceveva da questi protezione e un sistema di giurisprudenza.

Da notare che il Papa regnava su numerosi stati di nazionalità diverse e ciascuno con la propria nobiltà feudale, ma tutti unificati in un’Europa occidentale compatta sotto la guida unica della Chiesa che si definiva Cattolica, che significa universale.

Diversi storici riconoscono il fatto che non fu la Chiesa Cattolica a fondare il sistema feudale, ma che vi si adattò diventandone il punto di riferimento unificatore attraverso un rigido sistema teologico, vale a dire dottrine religiose che contenevano anche valori morali. Ne è una dimostrazione il fatto che la riforma luterana portò, nel rinascimento, a un sistema feudale ancora più rigido negli stati germanici con la totale espropriazione dei beni che appartenevano agli uomini liberi e che divennero tutti servi della gleba sotto il controllo di monarchi totalitari che si erano distaccati dalla Chiesa di Roma. Il crollo del feudalesimo non portò quindi al parallelo crollo della Chiesa Cattolica, perché le due entità non coincidevano, ma portò a una crisi interna che diede vita a una contro-riforma pilotata dal neonato ordine dei Gesuiti che ha allontanato la Chiesa Cattolica in modo permanente dal modello della Repubblica preso a prestito dalla tradizione romana classica. Nei secoli successivi vedremo la Chiesa Cattolica perdere gradualmente il proprio politico diretto, ma cercare l’appoggio e la protezione di vari regimi anche totalitari in risposta allo sviluppo della tendenza laica che è diventata preponderante dopo la rivoluzione francese.

Considerando che il papato ha mantenuto un potere quasi indiscusso per 1000 anni e che comunque è riuscito a riportare ordine in un’Europa caduta nel caos più completo della barbarie, vediamo che la formula della Repubblica di Platone ha avuto un certo successo in contesti anche molto diversi tra loro ed è stata completamente rimpiazzata in tempi recenti dall’esperimento degli Stati Uniti che, attingendo dall’esperienza dei classici greci e romani, ha creato una propria versione di repubblica ispirata alla realtà politica del settecento e del tutto sganciata dal potere religioso e ancorata a una forte carta costituzionale che sancisce i diritti dei singoli cittadini.

L’evoluzione degli Stati Uniti

Anche nella Costituzione statunitense troviamo una figura simile all’aristocrazia meritocratica di Platone. Si tratta dei grandi elettori che sono responsabili per la nomina del Presidente. Non è il popolo che elegge direttamente il Presidente degli Stati Uniti, al fine di evitare le distorsioni della remocrazia della folla. Il voto popolare è stato aggiunto solo in un secondo momento per indicare una preferenza che guida la decisione dei grandi elettori che vengono eletti a loro volta dai singoli stati e non dai cittadini. Sono i grandi elettori che alla fine scelgono, tra i candidati disponibili, il più meritevole.

Il fatto che il voto dei grandi elettori oggi sia diventato unicamente un passaggio formale e che sia allineato sostanzialmente alle linee dei due partiti americani, è un degrado rispetto al progetto originale repubblicano dei padri fondatori degli Stati Uniti. Le loro intenzioni erano che i grandi elettori scegliessero il miglior candidato presidenziale secondo coscienza per evitare le politiche partigiane condannate dallo stesso Platone.

Da notare infine che in partito democratico statunitense è nato sulla base di un’economia agraria centrata sull’uso di schiavi, come nel caso della Democrazia ateniese dell’epoca classica. Notiamo inoltre che sempre il partito democratico americano, fedele al proprio nome, ha sempre cercato di demolire il progetto repubblicano per riportarlo a una Democrazia classica attraverso la nomina diretta dal Presidente mediante voto popolare, attraverso la moltiplicazione dei giudici nella corte suprema e con la creazione di enormi burocrazie centralizzate che sfuggono al controllo politico e diventano uno Stato nello Stato.

Quindi anche gli Stati Uniti non sono immuni ai problemi elencati da Platone: la commistione tra le forze armate e l’industria bellica dopo la seconda guerra mondiale ha inserito distorsioni che hanno favorito il moltiplicarsi dei conflitti in cui gli Stati Uniti sono stati impegnati, in chiara violazione della loro Costituzione.

L’enorme influenza della finanza sulla classe politica abilitata dalla creazione di una banca centrale, la Federal Reserve, anch’essa incostituzionale, ha favorito la nomina di politici affaristi che non hanno una specifica preparazione per la gestione dello Stato fatto salvo l’aver studiato legge, in molti casi.

Infine la mancanza di una forza intellettuale unificatrice che consolidi la Costituzione e che favorisca alti standard morali, ha portato alla polarizzazione del popolo che si divide in due fazioni antagoniste tra loro e che sono mosse dalle passioni che Platone sperava proprio di evitare.

Anche l’esperienza americana conferma quindi che, in mancanza di un popolo partecipe e informato che scelga i propri rappresentanti con cura la Costituzione perde forza. Se i governanti non vengono scelti tra persone che abbiano dimostrato capacità reali nell’arte del governo e se si permette una commistione tra gli interessi economici e la gestione dello Stato, si tende inevitabilmente a un regime totalitario come Platone aveva già previsto migliaia di anni fa.

Roberto Mazzoni

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