[John Fitzgerald Kennedy – Presidente degli Stati Uniti]
Ci sono poche cose terrene che sono più belle di un’università, scrisse John Maysfield nel suo omaggio alle università inglesi. E le sue parole rimangono vere anche oggi. Non si riferiva alle torri oppure ai campus universitari. Ammirava la splendida bellezza delle università perché erano, citando le sue parole, un luogo dove coloro che odiano l’ignoranza possono sforzarsi di conoscere. Dove coloro che percepiscono la verità possono sforzarsi di portare a vedere anche gli altri. Ho quindi scelto questo tempo e questo luogo per discutere di un argomento su cui troppo spesso abbonda l’ignoranza e di cui troppo raramente viene percepita la verità.
E questo è l’argomento più importante che ci sia sulla Terra: la pace. Che tipo di pace intendo? E che tipo di pace cerchiamo? Non una Pax Americana, imposta al mondo con le armi da guerra americane. Non la pace della tomba oppure la sicurezza dello schiavo. Sto parlando della pace vera,. Il tipo di pace che rende la vita sulla terra degna di essere vissuta. Il tipo di pace che consente agli uomini e alle nazioni di crescere e di sperare e di costruire una vita migliore per i propri figli. Non solo pace per gli americani, ma pace per tutti gli uomini e per tutte le donne. Non solo pace nel nostro tempo, ma pace in tutti i tempi.
Parlo della pace in ragione del nuovo volto della guerra. La guerra totale non ha senso in un’epoca in cui le grandi potenze possono mantenere forze nucleari molto vaste, e relativamente invulnerabili, e rifiutano di arrendersi senza ricorrere a tali forze. Non ha senso in un’epoca in cui una singola arma nucleare contiene quasi dieci volte la forza esplosiva fornita da tutte le forze aeree alleate nella seconda guerra mondiale. Non ha senso in un’epoca in cui i veleni mortali prodotti da uno scambio nucleare sarebbero trasportati dal vento e dall’acqua e dal suolo e dai semi fino agli angoli più remoti del globo e alle generazioni ancora non nate.
Oggi, i miliardi di dollari che spendiamo ogni anno per procurarci armi allo scopo di assicurarci di non averne mai bisogno, sono un fattore essenziale per il mantenimento della pace. Ma sicuramente l’acquisizione di tali scorte inattive, che possono solo distruggere e mai creare, non è l’unico, né tanto meno il più efficace mezzo per assicurare la pace. Parlo dunque della pace come fine razionale necessario per gli uomini razionali.
Mi rendo conto che la ricerca della pace non è così drammatica come la ricerca della guerra, e che spesso le parole di chi la cerca cadono nel vuoto. Ma non esiste compito che sia più urgente di questo. Alcuni dicono che sia inutile parlare di pace o di legge internazionale o di disarmo mondiale, e che sarà inutile fino a quando i leader dell’Unione Sovietica non adotteranno un atteggiamento più illuminato. Spero che lo facciano. Credo che possiamo aiutarli a farlo. Ma credo anche che noi dobbiamo riesaminare i nostri atteggiamenti come individui e come nazione, perché il nostro atteggiamento è essenziale quanto il loro. E ogni laureato di questa scuola, ogni cittadino razionale che non voglia la guerra e che voglia portare la pace, dovrebbe iniziare guardandosi dentro, esaminando il proprio atteggiamento verso le possibilità di conseguire una pace, il proprio atteggiamento nei confronti dell’Unione Sovietica, della guerra fredda, e della libertà e della pace qui a casa nostra. In primo luogo, esaminiamo il nostro atteggiamento nei confronti della pace stessa.
Troppi di noi pensano che sia impossibile, troppi pensano che sia irreale. Ma questa è una convinzione pericolosa e disfattista. Porta alla conclusione che la guerra sia inevitabile, che l’umanità sia condannata, che siamo attanagliati da forze che non possiamo controllare. Non dobbiamo accettare questo punto di vista. I nostri problemi sono creati dall’uomo, quindi possono essere risolti dall’uomo. E, quando vuole, l’uomo sa essere grande. Nessun problema del destino umano va oltre le capacità degli esseri umani. Il raziocinio e lo spirito umano hanno spesso risolto ciò che appariva irrisolvibile, e crediamo che possano farlo di nuovo.
Non mi riferisco al concetto assoluto, infinito, di pace universale e di buona volontà, sognato da alcune fantasie e da alcuni fanatici. Non nego il valore delle speranze e dei sogni, ma se il nostro unico obiettivo immediato fosse di perseguire speranze e sogni, non faremmo altro che invitare allo scoraggiamento e all’incredulità. Concentriamoci invece su una pace più pratica, più raggiungibile, non basata su un’improvvisa rivoluzione della natura umana, ma su una graduale evoluzione delle istituzioni umane, su una serie di azioni concrete e di accordi efficaci che siano nell’interesse di tutte le parti coinvolte. Non esiste un’unica, semplice chiave per raggiungere tale pace, nessuna formula grandiosa o magica che una o due potenze possano adottare. La vera pace deve essere il prodotto di molte nazioni, la somma di molti atti.
Dev’essere dinamica, non statica, che cambia per affrontare le sfide di ogni nuova generazione. Perché la pace è un processo, un modo per risolvere i problemi. Con una pace di questo genere, ci saranno ancora litigi e interessi contrastanti, come ci sono all’interno delle famiglie e delle nazioni. La pace nel mondo, alla pari della pace comunitaria, non richiede che ogni uomo ami il suo prossimo. Richiede solo che viviamo insieme, nella reciproca tolleranza, sottoponendo le nostre controversie a una soluzione giusta e pacifica. E la storia ci insegna che l’inimicizia tra le nazioni, come tra gli individui, non dura per sempre. Per quanto fisse possano sembrare le nostre simpatie e antipatie, la marea del tempo e degli eventi porterà spesso cambiamenti sorprendenti nelle relazioni tra nazioni e nelle relazioni tra vicini di casa.
Dobbiamo quindi perseverare. La pace non deve essere impraticabile e la guerra non deve essere inevitabile. Definendo più chiaramente il nostro obiettivo, facendolo sembrare più gestibile e meno remoto, possiamo aiutare tutte le persone a vederlo, a trarne speranza e a muoversi irresistibilmente verso di esso. In secondo luogo, esaminiamo il nostro atteggiamento nei confronti dell’Unione Sovietica. È scoraggiante pensare che i loro leader possano effettivamente credere a ciò che scrivono i loro propagandisti. È scoraggiante leggere un recente autorevole testo sovietico sulla strategia militare, e trovare in pagina dopo pagina, affermazioni del tutto infondate e incredibili, come l’accusa che i circoli imperialisti americani si stiano preparando a scatenare diversi tipi di guerra. Che ci sia una minaccia molto reale di una guerra preventiva, scatenata dagli imperialisti americani contro l’Unione Sovietica.
E che gli obiettivi politici, e cito, degli imperialisti americani abbiano l’obiettivo di schiavizzare, economicamente e politicamente, l’Europa e gli altri paesi capitalisti al fine di raggiungere il dominio del mondo per mezzo di una guerra di aggressione. In verità, come fu scritto molto tempo fa, i malvagi fuggono senza bisogno che nessuno li insegua. Eppure è triste leggere queste dichiarazioni sovietiche, rendersi conto dell’estensione del divario che esiste tra noi. Ma costituiscono anche un monito, un avvertimento al popolo americano, di non cadere nella stessa trappola dei sovietici, di non vedere solo una visione distorta e disperata della controparte, di non vedere il conflitto come inevitabile, l’accomodamento come impossibile e la comunicazione come nient’altro che uno scambio di minacce.
Nessun governo o sistema sociale è tanto malvagio che il suo popolo debba essere considerato privo di virtù. Come americani, troviamo il comunismo profondamente ripugnante in quanto negazione delle libertà e delle dignità personali. Ma possiamo ancora lodare il popolo russo per i suoi numerosi successi nella scienza, nello spazio, nella crescita economica e industriale, nella cultura e negli atti di coraggio. Tra i molti tratti che i popoli dei nostri due paesi hanno in comune, nessuno è più forte della nostra reciproca avversione alla guerra, una caratteristica quasi unica tra le maggiori potenze mondiali. Non siamo mai stati in guerra l’uno contro l’altro, e nessuna nazione nella storia ha mai sofferto più di quanto abbia sofferto l’Unione Sovietica.
Nella seconda guerra mondiale, almeno 20 milioni di russi persero la vita. Innumerevoli milioni di case e di famiglie sono state bruciate o saccheggiate. Un terzo dell’intero territorio della nazione, compresi due terzi della sua base industriale, è stato trasformato in una terra desolata, una perdita che sarebbe equivalente alla distruzione completa dell’intero territorio degli Stati Uniti che si trova ad est di Chicago. Oggi, non importa come, ma se mai dovesse scoppiare di nuovo una guerra totale, i nostri due paesi sarebbero gli obiettivi primari. È un fatto ironico, ma accurato che le due potenze più forti siano anche le due che corrano il maggior rischio di devastazione. Tutto quello che abbiamo costruito, Tutto ciò per cui abbiamo lavorato, sarebbe distrutto nelle prime 24 ore.
E anche nella Guerra Fredda, che porta fardelli e pericoli a così tanti paesi, compresi gli alleati più stretti della nostra nazione, i fardelli più pesanti vengono sopportati dai nostri due paesi, perché entrambi stiamo destinando ingenti somme di denaro per la costruzione di armi invece di destinarle a combattere l’ignoranza, la povertà e le malattie. Siamo entrambi coinvolti in un circolo vizioso e pericoloso, con i sospetti coltivati da una parte che alimentano i sospetti dall’altra, e con nuove armi che obbligano alla costruzione di altre nuove armi per contrastarle. In breve, sia gli Stati Uniti e i loro alleati, sia l’Unione Sovietica e i suoi alleati, hanno un interesse reciprocamente profondo nel conseguire una pace giusta e autentica e nel frenare la corsa agli armamenti.
La formulazione di accordi in tal senso rientra negli interessi dell’Unione Sovietica come anche nei nostri. E persino le nazioni più ostili possono essere portate ad accettare e a rispettare gli obblighi di un trattato che descrivano clausole che siano unicamente nel loro interesse. Non siamo quindi ciechi di fronte alle nostre differenze. Ma rivolgiamo anche l’attenzione ai nostri interessi comuni e ai mezzi con cui tali divergenze possono essere risolte. E se non possiamo porre fine ora alle nostre differenze, almeno possiamo contribuire a rendere il mondo sicuro anche nella diversità. Perché, in ultima analisi, il nostro legame comune più fondamentale è che tutti noi abitiamo questo piccolo pianeta, respiriamo tutti la stessa aria, abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli e siamo tutti mortali. In terzo luogo, rivediamo il nostro atteggiamento nei confronti della Guerra Fredda, ricordando che non siamo impegnati in un dibattito in cui ciascuna parte cerca di accumulare punti.
Non siamo qui per distribuire colpe oppure per puntare il dito e impartire giudizi. Dobbiamo affrontare il mondo così com’è e non come avrebbe potuto essere se la storia degli ultimi 18 anni fosse stata diversa. Dobbiamo quindi perseverare nella ricerca della pace, nella speranza che cambiamenti costruttivi all’interno del blocco comunista possano portare a soluzioni che ora sembrano al di là della nostra portata. Dobbiamo condurre i nostri affari in modo tale che diventi anche nell’interesse comunista concordare una vera pace mentre, soprattutto, difendiamo i nostri interessi vitali. Le potenze nucleari devono evitare quegli scontri che potrebbero portare un avversario a dover scegliere tra una ritirata umiliante oppure una guerra nucleare.
Adottare un approccio di tal genere nell’era nucleare sarebbe solo la prova del fallimento della nostra politica oppure di un desiderio di morte collettiva per l’intero mondo. Per garantire il raggiungimento di questi fini, le armi americane non devono costituire una provocazione, devono essere attentamente controllate e progettate al solo fine di scoraggiare un attacco e devono consentire un uso selettivo. Le nostre forze militari devono essere impegnate per la pace e devono essere disciplinate nell’autocontrollo. I nostri diplomatici devono essere istruiti al fine di evitare irritanti e inutili ostilità di natura puramente retorica, perché possiamo cercare un rilassamento delle tensioni senza dover abbassare la guardia. E da parte nostra, non abbiamo bisogno di usare minacce per dimostrare che siamo risoluti.
Non abbiamo bisogno di disturbare le trasmissioni radio straniere per paura che la nostra fede possa essere erosa. Non vogliamo imporre il nostro sistema di governo a nessun popolo che sia riluttante nell’accettarlo, ma siamo disposti e siamo in grado di impegnarci in una competizione pacifica con qualsiasi popolo sulla Terra. Nel frattempo, cerchiamo di rafforzare le Nazioni Unite contribuendo a risolvere i loro problemi finanziari, al fine di renderle uno strumento più efficace per la pace, per trasformarle in un vero sistema di sicurezza mondiale, un sistema in grado di risolvere le controversie sulla base della legge, di garantire la sicurezza dei grandi e dei piccoli, e di creare le condizioni per abolire finalmente le armi. Allo stesso tempo, cerchiamo di mantenere la pace all’interno del mondo non comunista, dove molte nazioni, tutte nostre amiche, sono divise su questioni che indeboliscono l’unità occidentale, che invitano all’intervento comunista o che minacciano di sfociare in guerra.
I nostri sforzi nella Nuova Guinea occidentale, in Congo, in Medio Oriente e nel subcontinente indiano sono stati persistenti e pazienti, nonostante le critiche di entrambe le parti. Abbiamo anche cercato di dare l’esempio agli altri, cercando di correggere piccole, ma significative differenze con i nostri vicini più prossimi in Messico e Canada. Parlando di altre nazioni, vorrei chiarire il fatto che siamo legati ad altri paesi da varie alleanze. Tali alleanze esistono perché i nostri obiettivi e i loro obiettivi, sostanzialmente, si sovrappongono. Il nostro impegno a difendere l’Europa occidentale e Berlino Ovest, per esempio, rimane immutato in ragione dell’identità dei nostri interessi vitali. Gli Stati Uniti non faranno alcun accordo con l’Unione Sovietica a spese di altre nazioni e di altri popoli, non solo perché questi ultimi sono nostri partner, ma anche perché i loro interessi e i nostri interessi convergono. Tuttavia, tali interessi convergono non solo nella difesa delle frontiere della libertà, ma anche nel perseguire le vie della pace.
La nostra speranza e lo scopo della politica alleata è di convincere l’Unione Sovietica che anch’essa dovrebbe lasciare che ogni nazione decida per il proprio futuro, purché tale scelta non interferisca con le scelte degli altri. La spinta comunista a imporre il proprio sistema politico ed economico agli altri paesi è la causa principale della odierna tensione mondiale. Perché non c’è dubbio che, se tutte le nazioni potessero astenersi dall’interferire nell’autodeterminazione delle altre, la pace sarebbe molto più garantita. Ciò richiederà un nuovo sforzo per costruire uno stato di diritto mondiale, un nuovo contesto per condurre la discussione a livello globale. Richiederà una maggiore comprensione tra i sovietici e noi. Ma tale maggiore comprensione richiederà che ci siano più contatti e comunicazione tra di noi. Un passo in questa direzione è la proposta di una linea diretta tra Mosca e Washington, per evitare da entrambe le parti i pericolosi ritardi, le pericolose incomprensioni e interpretazioni errate delle azioni altrui che potrebbero verificarsi in un momento di crisi.
A Ginevra abbiamo anche parlato dei nostri primi passi verso il controllo degli armamenti, volti a limitare l’intensità della corsa agli armamenti e a ridurre il rischio di una guerra accidentale. A Ginevra, il nostro principale interesse a lungo termine consiste, tuttavia, nel disarmo generale e completo, concepito per tappe che consentano sviluppi politici paralleli che portino alla costruzione di nuove istituzioni di pace e che possano sostituire le armi. Sin dal 1920, i governi statunitensi hanno compiuto sforzi in direzione del disarmo. Le ultime tre amministrazioni hanno cercato di conseguirlo con urgenza. E per quanto deboli siano oggi le prospettive, intendiamo continuare questo sforzo, continuare affinché tutti i paesi, compreso il nostro, possano comprendere meglio quali sono i problemi e le possibilità del disarmo. L’unico settore importante di questi negoziati dove vediamo la possibilità di raggiungere il traguardo, ma dove è anche assolutamente necessario ripartire con un passo diverso, è un trattato che vieti gli esperimenti nucleari.
La sigla di tale trattato, che è talmente vicina eppure così lontana, frenerebbe la spirale della corsa agli armamenti in una delle sue aree più pericolose. Ciò metterebbe le potenze nucleari in grado di affrontare più efficacemente uno dei maggiori rischi che il genere umano deve affrontare nel 1963, vale a dire l’ulteriore diffusione delle armi nucleari. Aumenterebbe la nostra sicurezza. Ridurrebbe le prospettive di guerra. Sicuramente questo obiettivo è abbastanza importante da richiedere la nostra costante dedizione, non cedendo alla tentazione di rinunciare a tutti gli sforzi compiuti, né alla tentazione di rinunciare alla nostra insistenza su misure protettive per noi stessi che siano vitali e responsabili. Colgo l’occasione, quindi, per annunciare due importanti decisioni al riguardo. In primo luogo, il presidente Krusciov, il primo ministro Macmillan ed io abbiamo convenuto che, a breve, inizieremo a Mosca discussioni ad alto livello per giungere a un rapido accordo su un trattato che metta al bando gli esperimenti nucleari.
La nostra speranza deve essere temperata. Le nostre speranze devono essere temperate con la prudenza della storia, ma alle nostre speranze si uniscono le speranze dell’umanità intera. In secondo luogo, al fine di manifestare la nostra buona fede e le nostre solenni convinzioni in materia, dichiaro in questo preciso momento che gli Stati Uniti si asterranno dal condurre test nucleari nell’atmosfera fintanto che anche gli altri Stati si asterranno. Non saremo noi i primi a riprendere l’esecuzione di tali test. Naturalmente, una dichiarazione di questo tipo non può sostituire un trattato formale e vincolante, ma spero che ci aiuti a raggiungerlo. Un trattato del genere non sostituirebbe neppure il disarmo, ma spero che ci aiuterà a realizzarlo. Infine, cari concittadini americani, esaminiamo il nostro atteggiamento nei confronti della pace e della libertà qui a casa. La qualità e lo spirito della nostra società devono giustificare e sostenere i nostri sforzi all’estero.
Dobbiamo dimostrarlo nella dedizione della nostra vita, come molti di voi che si stanno laureando oggi avranno l’opportunità di fare, prestando servizio senza retribuzione nei Corpi di pace all’estero, o nel Corpo di servizio nazionale che vi viene proposto qui negli Stati Uniti. Ma ovunque siamo, dobbiamo tutti, nella nostra vita quotidiana, dimostrarci all’altezza dell’antica massima che ci dice che la pace e la libertà camminano di pari passo. In troppe delle nostre città, oggi, la pace non è sicura perché la libertà è incompleta. È responsabilità del ramo esecutivo a tutti i livelli di governo, locale, statale e nazionale, fornire e proteggere tale libertà per tutti i nostri cittadini con tutti i mezzi che rientrano nella nostra sfera di autorità.
E’ responsabilità del ramo legislativo a tutti i livelli, laddove tale autorità non sia ancora adeguata, renderla adeguata. Ed è la responsabilità di tutti i cittadini in tutte le parti di questo paese di rispettare i diritti degli altri e di rispettare la legge della propria nazione. E tutto questo è strettamente correlato con la pace mondiale. Le Scritture ci dicono che, quando le opere dell’uomo piacciono a nostro signore, egli farà in modo che anche i suoi nemici siano in pace con lui. E la pace, in ultima analisi, non è forse fondamentalmente una questione di diritti umani? Il diritto di vivere la nostra vita senza paura della devastazione. Il diritto di respirare l’aria come la natura ce l’ha fornita, il diritto delle generazioni future a un’esistenza sana. Mentre procediamo a salvaguardare i nostri interessi nazionali, salvaguardiamo anche gli interessi umani.
E l’eliminazione della guerra e delle armi è chiaramente nell’interesse di entrambi. Per quanto strettamente possa essere formulato, non può fornire una sicurezza assoluta contro i rischi di inganno e di evasione degli obblighi definiti negli articoli del trattato. Ma può, se è abbastanza efficace nella sua applicazione ed è sufficientemente nell’interesse dei suoi firmatari, offrire molta più sicurezza e molti meno rischi rispetto a quelli che correremmo se continuassimo in una sfrenata corsa agli armamenti incontrollata e imprevedibile. Gli Stati Uniti, come il mondo sa, non inizieranno mai una guerra. Non vogliamo una guerra. Non ci aspettiamo una guerra. Questa generazione di americani ne ha già avuto abbastanza, più che abbastanza, di guerra, odio e oppressione.
Ci manterremo preparati. E se altri volessero farci la guerra, saremo vigili per cercare di fermarla. Ma faremo anche la nostra parte per costruire un mondo di pace dove i deboli siano al sicuro e dove i forti siano giusti. Non siamo impotenti di fronte a questo compito e confidiamo nella possibilità del nostro successo nel conseguirlo. Dobbiamo lavorare con fiducia e senza paura, non verso una strategia di annientamento, ma verso una strategia di pace.
Grazie.
Smentita RAND Corporation:
Comunicato stampa del 14 settembre 2022: Un sedicente rapporto RAND fatto trapelare all’esterno che parla di una bizzarra cospirazione da parte degli Stati Uniti per indebolire la Germania è falso.
La ricerca, l’analisi e i commenti genuini della RAND sulla guerra in Ucraina possono essere trovati in questa pagina.
(non dice che il contenuto del rapporto è falso, ma che il documento in quanto tale è falso – non fornisce nessun tipo di informazioni circa la posizione degli Stati Uniti nei confronti della Germania. Sarebbe estremamente sorprendente se la RAND ammettesse la veridicità di questo progetto).
La pagina segnalata:
Analisi approfondite sulla guerra della Russia in Ucraina da parte di RAND
1. Già il titolo contiene una falsità visto che nella guerra in Ucraina non è coinvolta solo la Russia, ma anche la NATO con aiuti finanziari e militari, e questo è un dato ampiamente dimostrato).
Il 24 febbraio 2022 il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato senza provocazione un’invasione dell’Ucraina dando il via al più grande conflitto armato in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.
2. Questa è un’altra falsità visto che la guerra civile in Ucraina è in atto già dal 2014, visto che ci sono ampie evidenze di provocazione da parte della NATO, testimoniate anche da esponenti del mondo accademico e politico americano).
L’Ucraina ha avviato una forte difesa nonostante fosse numericamente molto inferiore
3. Questo è di nuovo falso perché sappiamo che all’inizio del conflitto i soldati ucraini erano il triplo rispetto ai russi, inoltre l’Ucraina ha ricevuto aiuti finanziari, logistici e di armamenti dai soli Stati Uniti per un valori pari all’intero budget militare annuale della Russia, senza contare gli aiuti delle altre nazioni della NATO).
Ma i bombardamenti russi sulle città ucraine producono un numero di vittime civili che cresce ogni giorno
4. Questo è di nuovo falso perché sappiamo che gli Ucraini bombardano i civili del Donbass senza sosta dal 2014 e che anche Amnesty International ha prodotto un rapporto in cui spiega che i soldati ucraini usano i civili come scudo di proposito costringendo i russi a colpire obiettivi civili che sono stati trasformati in postazioni militari.
Quindi in soli 2 paragrafi abbiamo 4 vistose falsità. Quindi la smentita tende a confermare piuttosto che smentire.
Il pregresso della RAND Corporation:
“Dobbiamo sottolineare il fatto che la precedenza data da una società alle sue capacità belliche non è il risultato di qualche presunta minaccia proveniente da altre società. E’ l’esatto contrario: le “minacce” contro l’interesse nazionale vengono create di proposito oppure accelerate al fine di soddisfare le esigenze mutevoli dell’apparato bellico. Solo in tempi recenti si è trovato politicamente conveniente usare l’eufemismo di budget della difesa per indicare le spese belliche. La necessità per i governi di differenziare tra “aggressione”, che viene identificata come negativa e “difesa”, che viene identificata come positiva, è un sottoprodotto del livello crescente di alfabetizzazione e delle comunicazioni più rapide tra le persone. Si tratta di una distinzione puramente tattica, una concessione all’inadeguatezza crescente delle motivazioni belliche usate dai regimi più antichi.
Le guerre non sono causate da conflitti d’interesse internazionali. Una sequenza più logica e più accurata consiste nel dire che le società che nascono per fare la guerra richiedono e quindi provocano tali conflitti. La capacità di una società di fare la guerra esprime il massimo potere sociale che essa può esercitare. La guerra, che sia in atto oppure contemplata, costituisce una questione di vita o di morte ai massimi livelli e sottopone la popolazione al controllo sociale.”
Iron Mountain è uno speciale bunker anti-nucleare costruito nella città di Hudson, nello stato settentrionale del Massachusetts. E’ stato per un certo tempo il deposito dei documenti più importanti di importantissime società statunitensi come Standard Oil, dei Rockefeller, e Shell.
Questo sarebbe luogo in cui, si dice, che nel 1963 si sia riunito per la prima volta uno speciale gruppo di ricerca composto da 15 esperti al fine di sviluppare un rapporto sui possibili problemi posti di una pace duratura e i rimedi da applicare.
Secondo la testimonianza anonima di uno dei partecipanti, il lavoro continuò per due anni e mezzo. Nel marzo del 1966, infine, il gruppo di ricerca produsse un rapporto segreto di una settantina di pagine che divenne la base per le attività del Pentagono e, in generale, del governo statunitense per gli anni a venire. Gran parte del lavoro era stato svolto in diverse località negli Stati Uniti, solo la prima e l’ultima riunione si tennero ad Iron Mountain, ma questo fu sufficiente a determinare il nome del progetto.
Nel 1967 Il rapporto divenne l’argomento di un omonimo libro che ebbe moltissimo successo e che si basò sulla testimonianza del professore di un’università del Midwest (gli stati centrali) che aveva partecipato alla sua stesura e che sentiva l’obbligo di coscienza d’informare il popolo americano.
Il rapporto sembra fosse stato commissionato da una serie di nuovi personaggi arrivati alla Casa Bianca assieme al presidente John Fitzgerald Kennedy. Il più importante di questi è Robert McNamara, segretario della difesa americano dal 1961 al 1968, vale a dire per buona parte della guerra del Vietnam, di cui è considerato uno dei principali architetti. E’ durante la sua gestione del Pentagono che il presidente Johnson mentì sul famoso falso incidente del Golfo del Tokino nel 1964, che segnò l’escalation della presenza militare americana.
McNamara è diventato famoso per i Pentagon Papers, documenti segreti del Pentagono prodotti a suo beneficio da alcuni consulenti e che furono pubblicati su alcuni giornali statunitensi nel 1971. Questi documenti mostrarono McNamara sapeva benissimo che la guerra in Vietnam sarebbe stata persa già nel 1967, ma che ciò nonostante aveva mentito al pubblico americano lasciando che la guerra continuasse. Come premio, McNamara fu nominato presidente della Banca Mondiale nel 1981.
Da notare che nel periodo in cui cominciava il lavoro sul rapporto di Iron Mountain, sempre nel 1963, fu assassinato John Fitzgerald Kennedy che si era dimostrato poco propenso a continuare la guerra in Vietnam, e fu sostituito dal suo vice, Lyndon Johnson, che ebbe un ruolo fondamentale nel moltiplicare il numero di soldati americani presenti in Vietnam e quindi far scoppiare la guerra vera e propria.
Sempre Lyndon Johnson andò su tutte le furie quando il rapporto venne pubblicato e ordinò a tutte le ambasciate americane di smentire il fatto che il contenuto riflettesse la politica americana. Appare strana una reazione tanto forte se non ci fosse stato nulla di vero.
La veridicità del rapporto venne naturalmente contestata sia dal governo statunitense che lo etichettò da subito come teoria complottista. Inoltre alcuni scrittori satirici si fecero avanti per sostenere di esserne stati loro gli autori al fine di classificarlo come una burla. Tuttavia il fatto che il rapporto sia stilato in modo molto formale con molte note di approfondimento, che il confidente anonimo abbia invitato l’autore del libro all’interno di Iron Mountain e che moltissime delle sue previsioni si siano avverate, lo rendono meritevole di considerazione.
La sua validità fu inoltre riaffermata in un articolo pubblicato sul Washington Post nel 1967 da Herschel McLandress, pseudonimo di John Kenneth Galbraith, un professore di Harvard, che dichiarò quanto segue: “Metterei la mia reputazione personale a sostegno dell’autenticità di questo documento, perciò offro testimonianza sulla validità delle sue conclusioni. Le uniche mie riserve sono di metterlo a disposizione di un pubblico che non sia stato preparato”. Galbraith disse anche di aver ricevuto un invito a partecipare alla stesura del rapporto.
La sintesi del rapporto è che la guerra soddisfa alcune funzioni che sono essenziali per la stabilità della nostra società e che fino a quando non si sviluppano metodi alternativi per svolgere le stesse funzioni, è necessario mantenere un regime di guerra praticamente costante, migliorandolo e aumentandone l’efficacia.
Il gruppo sviluppò anche una metodologia di ricerca che chiamò “peace games” giochi di pace, che offre un sistema per simulare gli effetti di numerosi fenomeni sociali al verificarsi di specifiche condizioni oppure incidenti. Il metodo si basava sull’uso di sistemi informatici ed è possibile che sia il predecessore delle varie simulazioni attuate negli ultimi anni dal World Economic Forum, ad esempio, in materia di pandemia oppure di massiccio attacco informatico.
Per dare un contesto della situazione in cui i 15 esperti lavorarono, riportiamo le loro parole prese dal rapporto stesso: “Il nostro lavoro si fonda sul convincimento che sia possibile un negoziato che porti a qualche genere di pace generale. L’ammissione di fatto della Cina Comunista nelle Nazioni Unite, che ora sembra potersi avverare nell’arco di pochi anni, mostra in modo ancora più chiaro che i conflitti degli interessi nazionali degli Stati Uniti con quelli della Cina e dell’Unione Sovietica possono essere risolti attraverso canali politici. E questo nonostante le controindicazioni superficiali dell’attuale guerra in Vietnam, oppure delle minacce di un attacco sulla Cina, e del tenore necessariamente ostile delle dichiarazioni quotidiane in materia di politica internazionale.
“E’ anche evidente che le differenze che coinvolgono altre nazioni possano essere rapidamente risolte dalle tre grandi potenze non appena arrivino a una situazione di pace stabile tra di loro. Non è necessario, ai fini del nostro studio, supporre che una distensione di questo tipo si verifichi, e non sosteniamo che si verificherà, ma solo che possa verificarsi.
“Di certo non è un’esagerazione dire che una condizione di pace mondiale generale porterebbe a cambiamenti nelle strutture sociali delle nazioni del mondo che avrebbero una portata rivoluzionaria senza precedenti. L’impatto economico di un disarmo generale, giusto per nominare una delle conseguenze più ovvie della pace, porterebbe a rivedere i modelli di produzione e di distribuzione nel pianeta al punto da rendere insignificanti i cambiamenti che abbiamo visto negli ultimi 50 anni. I cambiamenti politici, sociologici, culturali ed ecologici sarebbero di una portata altrettanto vasta. Ciò che ha motivato il nostro studio di queste evenienze è stata la crescente sensazione di pensatori all’intero e all’esterno del governo che ritengono che il mondo sia totalmente impreparato per far fronte alle richieste di questo genere di situazioni.
“La parola pace, com’è stata usata nelle pagine di questo rapporto, indica una condizione di assenza permanente o quasi permanente dell’uso, a livello nazionale oppure sociale, del tipo di violenza organizzata o minaccia di violenza organizzata che prende il nome di guerra”.
“Da un punto di vista economico, il rapporto continua: “L’industria bellica mondiale conta per circa il 10% dell’economia totale. Benché sia un valore soggetto a fluttuazioni, in base a variazioni regionali, tende a rimanere abbastanza stabile. Gli Stati Uniti, che sono la nazione più ricca del mondo, ne rappresentano la fetta più importante, ma hanno pure destinato una porzione più grande del proprio prodotto interno lordo alla propria infrastruttura militare di qualsiasi altra nazione primaria del mondo libero.
“La conversione delle spese militari verso altre finalità presenta numerose difficoltà. La più grave tra queste deriva dalla rigida specializzazione che caratterizza la moderna produzione bellica, meglio esemplificata dalla tecnologia missilistica e nucleare.
“Le proposte di convertire la produzione di armi in opere pubblico a scopo benefico sono pie illusioni e non tengono conto dei limiti del nostro sistema economico.
“Le misure fiscali e monetarie attuabili non sono adeguate per controllare il processo di transizione verso un’economia libera dalle armi”.
In pratica il rapporto ci dice che i banchieri centrali e i gestori del tesoro nazionale non sono disponibili a questo genere di conversione perché non potrebbero controllarla. Inoltre i cambiamenti sarebbero di una portata talmente profonda da scuotere profondamente i sistema economico e sociale, quindi cancellando lo status quo.
Il rapporto sostiene che la guerra sia una componente essenziale per la crescita di una nazione. Senza lo spreco bellico che assorbe l’abbondanza prodotta dalle attività economiche civili, non ci sarebbe incentivo per produrre di più. In pratica l’unico incentivo allo sviluppo contemplato da questi signori era di rovinare e sprecare abbastanza lavoro altrui, da forzare un aumento nella produttività ed efficienza allo scopo di compensarlo.
Questo genere di spreco economico viene soddisfatto egregiamente da qualsiasi sviluppo di armamenti, ma occorre anche lo scoppio di un conflitto vero e proprio per costringere una società oppure l’umanità a compiere balzi in avanti nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie che migliorano lo standard di vita. Ad esempio gli autori indicano che dopo la seconda guerra mondiale lo standard di vita generale è aumentato, ma non tengono conto della distruzione che c’è stata nel frattempo e che tale sviluppo si sarebbe verificato anche in un periodo pacifico.
Ma il vizio di fondo del ragionamento dell’intero rapporto emerge in questo paragrafo: “Abbondano gli esempi dell’importanza della guerra nell’economia generale anche in senso negativo. L’argomento più familiare è l’effetto delle “minacce di pace” sul mercato azionario. Ad esempio citano una notizia dell’epoca: ‘Wall Street è stata scossa ieri dalle notizie di una apparente proposta di pace da parte del Nord Vietnam, ma si ha ripreso rapidamente la sua compostezza dopo circa un’ora di vendite indiscriminate’. Oppure una pubblicità usata all’epoca dalle banche che gestivano risparmi privati. Lo slogan era: “Sarete pronti se dovesse scoppiare la pace?” Quindi gli autori concludono che la guerra costituisca un fattore stabilizzante essenziale per l’economia delle società moderne.
“In generale il sistema della guerra fornisce la motivazione primaria per mantenere un’organizzazione sociale”.
“Tra le raccomandazioni finali abbiamo: la creazione di un’agenzia governativa negli Stati Uniti che definisca i criteri moderni per l’applicazione delle funzioni non militari della guerra. Queste includerebbero le seguenti voci, ma non solo:
calcolare il valore ottimale per le gamme minime e massime delle spese militari, in diverse condizioni ipotetiche che soddisfino le seguenti funzioni, separatamente e collettivamente:
Determinare i valori minimi e ottimali per la distruzione della vita, della proprietà e delle risorse naturali che costituiscono un requisito essenziale per dare credibilità alla presenza di minacce esterne essenziali per le funzioni politiche e motivazionali.
Sviluppare una formula negoziabile della relazione tra il reclutamento e addestramento dei militari e le esigenze di controllo sociale.
“Economici: I surrogati economici devono soddisfare due criteri principali. Devono produrre spreco nel senso generale della parola e devono operare al di fuori del normale sistema di domanda e offerta. Un’economia avanzata come la nostra deve pianificare la distruzione di almeno il 10% del prodotto interno lordo se deve svolgere davvero la sua funzione stabilizzante.
“Politici: La guerra crea governi stabili perché fornisce alla società una necessità esterna che le fa accettare di essere governata. Il fine ultimo della guerra è la fine della sovranità nazionale, ma questo non significa la fine dell’apparato amministrativo di governo. Una forza di polizia internazionale fortemente armata, sotto il controllo di una corte sopranazionale, potrebbe sostituirsi alla necessità di un nemico esterno.
“Si potrebbe creare un livello di inquinamento tale da poterlo usare come alternativa al pericolo di distruzione dell’intera specie mediante esplosioni nucleari. Abbiamo già fatto molti progressi nell’avvelenamento dell’aria, dell’acqua e delle principali fonti di cibo e sembra promettente, costituisce una minaccia che può essere affrontata solo attraverso il potere politico e l’organizzazione sociale.
“Si potrebbe aumentare selettivamente il tasso d’inquinamento a tale fine, di fatto la semplice modifica degli attuali programmi mirati alla riduzione dell’inquinamento potrebbero essere sufficienti per rendere la minaccia concreta molto più in fretta.
“Un altro possibile surrogato della guerra per il controllo di nemici potenziali della società è la reintroduzione, in una forma conforme alla moderna tecnologia, della schiavitù. Finora se ne è parlato solo nella fiction come Brave New World di Huxley e 1984 di Orwell. Ma le fantasie pubblicate in questi libri, con il passare degli anni, sono apparse sempre meno fantasiose e sempre più plausibili. L’associazione tradizionale della schiavitù con le antiche culture di tipo preindustriale e l’incompatibilità con i valori economici e morali dell’Occidente non dovrebbero farci perdere di vista che tale schiavitù sia adattabile alle forme sociali avanzate. Di fatto è completamente possibile che lo sviluppo di una sofisticata forma di schiavitù costituisca un requisito irrinunciabile per il controllo sociale in un mondo senza guerra. Per quanto possa essere sorprendente, a livello pratico, la conversione del codice di disciplina militare a una forma eufemizzata di schiavitù richiederebbe pochissime modifiche. Il primo logico passo sarebbe l’adozione di un “servizio militare universale”.
“Gli esperti nella teoria dei giochi hanno suggerito, in altri contesti, lo sviluppo di giochi cruenti che possano controllare gli impulsi aggressivi degli individui. Realisticamente questo tipo di ritule potrebbe essere socializzato usando il modello dell’Inquisizione Spagnola e del modello meno formale dei processi alle streghe usando l’argomento della “purificazione sociale”, della “sicurezza dello stato” o di qualsiasi altra motivazione che appaia credibile alle società post-belliche.
Sarebbe anche possibile definire il tipo di individuo antisociale che rappresenterebbe il “nemico alternativo” per combattere il quale sarebbe necessario creare istituzioni che controllino la popolazione e manterrebbero la società coesa, che condurrebbero iniziative inesorabili e senza sosta per impedire a tali persone identificate come nemici di mantenere un lavoro a tutti i livelli della società, per alienarle. Questo programma potrebbe essere anche utilizzato in aggiunta a una guerra. Non approfondiremo qui le forme specifiche in cui tale programma sarebbe realizzato, ma ci limitiamo a notare che esistono ampi precedenti storici nel trattamento riservato nella storia alle categorie sociali ed etniche che sono state considerate minacciose.
Ecologici: Considerando i limiti della guerra quale meccanismo di controllo selettivo della popolazione, dovrebbe essere abbastanza semplice concepire sostituti. Non c’è dubbio che ci sia un requisito universale per limitare la procreazione e che un ottimo sostituto per il controllo dei livelli della popolazione sarebbe fornito dall’inseminazione artificiale. Tale sistema riproduttivo avrebbe il vantaggio aggiuntivo di essere suscettibile alla manipolazione eugenica diretta. Si può prevedere che in futuro sarà possibile sviluppare l’embrione completamente in laboratorio, il che permetterebbe di estendere tali controlli anche oltre. Quindi la funzione ecologica della guerra sarebbe non solo sostituita ma persino superata da questi metodi alternativi.
E’ consigliabile un passaggio intermedio, già in via di sviluppo, che consiste nel controllo totale della concezione con la distribuzione su vasta scala di una pillola, con lo spargimento di sostanze nell’acqua potabile oppure all’interno di alcuni cibi essenziali, con un antidoto che permetta di regolarne la portata.
Roberto Mazzoni