Tutto è cominciato con la pubblicazione di un articolo a sorpresa sulla rivista Vanity Fair lo scorso giugno. Nessuno si sarebbe aspettato un intervento simile su una testata mondana che non ha peso specifico particolare nel mondo politico. Eppure, la giornalista, Katherine Ban, ha proposto la più completa e convincente analisi su una questione che fino a quel momento era stata considerata completamente tabù da tutti i media mainstream e assolutamente proibita sui social media.
Stiamo parlando delle origini del virus alla base della pandemia COVID-19, il SARS-CoV-2. Si tratta di un virus che è un’evoluzione della Sindrome Respiratoria Acuta Grave, in inglese Severe Acute Respiratory Syndrome abbreviato in SARS.
Come abbiamo descritto ampiamente nei video precedenti di questa serie (115, 116, 117, 118 e 121) la teoria originale secondo cui il virus abbia origini naturali non è mai stata dimostrata, mentre acquista sempre più credito la teoria secondo cui sia il risultato di una manipolazione di laboratorio.
Tale manipolazione sarebbe avvenuta nel Laboratorio di virologia di Wuhan, la città dove la pandemia ha avuto origine. Tale laboratorio è dedicato proprio allo studio di numerose forme di coronavirus, prevalentemente prelevate dai pipistrelli e quindi modificate per renderle più contagiose per gli uomini.
Il pregio dell’articolo di Vanity Fair fu di riesumare la teoria secondo cui il virus sarebbe sfuggito inavvertitamente dal laboratorio a seguito di una gestione maldestra da parte dei ricercatori cinesi che vi lavorano.
Tuttavia la base primaria dell’articolo era il lavoro di un gruppo di ricercatori indipendenti denominato DRASTIC, che è l’abbreviazione di Decentralized Radical Autonomous Search Team Investigating COVID-19 – gruppo di ricerca autonomo e decentralizzato che indaga sul COVID-19.
L’ideatore originale di questo gruppo è lo scienzato Gilles Demaneuf specializzato nell’analisi di grandi volumi di dati e impiegato presso la Banca della Nuova Zelanda. Non si tratta quindi di un biologo o di un virologo, ma di una persona esperta nel trovare ed elaborare dati digitali. Il suo lavoro iniziale consistette nel cercare modelli ripetuti all’interno delle informazioni disponibili sul virus. Demaneuf scoprì rapidamente che c’erano già stati quattro casi, dal 2004 in avanti, in cui laboratori cinesi avevano fatto uscire inavvertitamente il virus SARS prima versione creando epidemie locali. Il primo caso fu a Pechino in due laboratori dove, a causa della presenza di troppe persone nei locali, un virus non era stato deattivato correttamente prima di essere trasferito in un frigorifero nel corridoio.
Uno studente aveva quindi esaminato il virus attivo sotto il microscopio facendosi infettare e creando un focolaio. Già nel novembre 2020, Demaneuf aveva pubblicato un articolo online dove descriveva i diversi casi di fughe da laboratorio avvenuti nel passato recente: durante l’epidemia SARS del 2003-2004, che furono fughe da diversi laboratori: Singapore, Taipei (sull’isola di Taiwan) e Pechino. Tutti questi casi furono descritti in un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in modo abbastanza veloce e trasparente, due fattori che sono completamente mancati nel caso del COVID-19.
I tre casi dimostrarono che la fuga era dovuta a scarsa attenzione da parte di persone che avevano lavorato nel laboratorio e da cattive misure di sicurezza osservate in alcuni di questi laboratori.
Nel caso della fuga a Singapore, avvenuta nel settembre 2003, si trattò di un laboratorio con un livello di sicurezza P3, considerato inadeguato per gestire questo genere di virus. Uno studente dell’università di Singapore, inesperto nelle procedure, commise alcuni errori nel corso di un esperimento e si infettò trasferendo poi l’infezione ad altri.
In quel caso l’indagine dell’OMS stabilì quanto segue: “Standard di laboratorio inappropriati e contaminazione incrociata tra campioni di virus diversi all’interno del laboratorio hanno portato all’infezione dello studente di medicina”.
La lezione fondamentale imparata in quel caso era che non bastava avere un laboratorio sicuro, ma che era anche necessario avere di procedure di lavoro sicure. Le attività del laboratorio furono sospese immediatamente e il ministro dell’ambiente di Singapore, Lin Ruisheng, si scusò pubblicamente prendendosi responsabilità dell’accaduto. Le conseguenze di questo particolare incidente furono modeste.
Il secondo incidente che coinvolgeva il virus SARS CoV, da cui l’attuale SARS-CoV 2 deriva, accadde a Taiwan nel dicembre del 2003. In questo caso fu coinvolto un laboratorio di livello superiore, P4, coinvolto in attività di ricerca militari che sono mirate a sventare eventuali attacchi batteriologici da parte della Cina.
Il laboratorio fu costruito dai francesi nel 1993 e disponeva di materiale molto moderno di fabbricazione francese. L’incidente avvenne per trascuratezza del tenente colonnello Chang Jiacong, addestrato alla Johns Hopkins University, l’iuniversità di medicina più prestigiosa negli Stati Uniti.
Chang Jiacong stava lavorando da solo quando si accorse che una borsa per il trasporto degli agenti virali era squarciata e che aveva travasato il suo contenuto all’interno dell’armadietto a pressione negativa in cui era contenuta. Il tenente colonnello suppose che il virus fosse ormai inattivo e sanificò l’area usando unicamente alcool etanolo invece di acqua ossigenata vaporizzata. Era di fretta perché il giorno dopo doveva partecipare a una conferenza a Singapore dove avrebbe dovuto parlare della sua ricerca sul SARS. Fece l’operazione di pulizia con una mascherina e guanti normali e si contaminò. Il giorno dopo era su un aereo insieme a sei colleghi. Appena tornato dal viaggio, comunicò di aver contratto l’influenza, ma presto si rese conto che i sintomi che sentiva erano quelli della SARS. Ma per non fare una brutta figura decise di mettersi in quarantena a casa propria fino a che il padre lo convinse ad andare in ospedale dove in contagio venne alla luce. I sei colleghi che avevano viaggiato con lui furono sospesi da lavoro e messi in quarantena a casa propria per 21 giorni, insieme a 19 persone che erano sul volo con lui.
Il rapporto finale dell’OMS in questo caso ribadì che era estremamente pericoloso lavorare con coronavirus della SARS e che c’erano serie preoccupazioni su chiunque nel mondo tenesse campioni di questi virus a scopo di ricerca, visto che serviva estrema cura nel maneggiarli. Il disastro era stato evitato, ma avrebbe potuto ripresentarsi.
Il terzo incidente fu il più pericoloso e accadde a Pechino nell’aprile del 2004. In questo caso il governo di Pechino fece di tutto per impedire che si sapesse che cosa era accaduto davvero. Come dice Demaneuf nel suo articolo, la fuga del virus accadde nel contesto di un “sistema accademico avvelenato da atteggiamenti da torre d’avorio che seguiva cattive procedure senza che nessuno avesse il coraggio di contestarlo. La fuga di laboratorio del virus SARS a Pechino e la successiva epidemia sono una storia di colossale ego accademico, scioccante incompetenza, offuscamento della verità e mancanza di alcun obbligo di rispondere delle proprie azioni”.
In quel caso, tuttavia, una parte della stampa cinese fece trapelare alcune informazioni con alcuni ottimi articoli di giornalismo investigativo.
La fuga avvenne nell’Istituto di virologia di Pechino, un laboratorio di livello P3 considerato all’epoca il più prestigioso in tutta la Cina.
Eppure il laboratorio si trovava in un vicolo molto affollato, aveva finestre sporche e per lo più rotte, con le uscite di ventilazione che soffiavano l’aria del laboratorio direttamente in faccia alle persone che vivevano dall’altra parte della strada, a pochi metri di distanza.
In questo caso l’incidente coinvolse di nuovo uno studente. I virus, che avrebbero dovuto essere sotto chiave in cassaforte, era stati invece depositati all’esterno, in un frigorifero nel corridoio a causa del sovraffollamento del laboratorio in cui lavorava il triplo del personale consentito. In quel caso comunque il governo cinese dichiarò casi di contaminazione prontamente e chiuse il laboratorio temporaneamente per un periodo di quarantena.
Dopo l’indagine condotta in seguito all’esplosione di quel particolare focolaio, l’OMS concluse che c’erano serie preoccupazioni sulla sicurezza biologica dell’istituto di ricerca, tra cui le procedure d’uso dei virus SARS e la loro conservazione. Da notare che, complessivamente, l’epidemia di SARS del 2003-2004 produsse 8.098 casi nel mondo in 26 nazioni, con 774 morti. Nonostante il numero limitato di casi e di decessi, provocò sovraccarico nelle strutture sanitarie di molti Paesi che dovettero organizzarsi per verificarne la presenza anche se non erano stati colpiti. Inoltre produsse un significativo impatto distruttivo a livello sociale ed economico nelle area colpite. Notiamo inoltre che, nonostante gli sforzi prolungati nel tempo, in quasi vent’anni non è mai stato sviluppato un vaccino efficace per il SARS-CoV-1.
Da quel momento il lavoro sui virus SARS nel mondo è continuato, anche se si è spostato gradualmente all’interno di laboratori con un grado di sicurezza militare, P4, come quello di Wuhan che è stato anch’esso costruito dai francesi.
Nel caso di Wuhan, tuttavia, non c’è stata una vera e propria indagine indipendente. L’OMS è ormai controllata in gran parte da Pechino e da fondi di donatori privati, come la Bill and Melinda Gates Foundation.
Gli ispettori inviati ufficialmente nel febbraio del 2021 non hanno davvero ispezionato il laboratorio, che ormai doveva essere stato completamente ripulito a distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia. Si sono limitati ad ascoltare le dichiarazioni riportate dai portavoce cinesi e a dichiarare che l’ipotesi di una fuga di laboratorio fosse molto improbabile.
L’indagine era talmente incredibile che persino l’OMS l’ha disconosciuta dopo che sono emersi chiari conflitti d’interesse di alcuni degli ispettori che erano andati a Wuhan. Come l’americano Peter Daszak che, attraverso la sua EcoHealth Alliance ha finanziato parte della ricerca nel laboratorio di Wuhan riassegnando fonti ricevuti dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases gestito da Anthony Fauci oppure dal National Institutes of Health gestito da Francis Collins di cui l’NIAID di Fauci fa parte.
Inoltre, nel caso di Wuhan, c’ un’altra differenza importante. Il laboratorio è l’unico in Cina che esegue ricerche gain-of-function. In pratica manipola e altera i virus originali al fine di renderli più contagiosi per l’uomo. Il risultato sono virus chiamate chimerici perché non esistono in natura e sono mostri creati dall’uomo.
Tali ricerche vengono condotte con la motivazione ufficiale di anticipare il lavoro della natura e poter sperimentare su virus che potrebbero presentarsi in futuro. In realtà, è un modo per mascherare la generazione di armi batteriologiche sfruttando finanziamenti che sarebbero indirizzati alla salute pubblica e non al budget di difesa, e scavalcando le leggi che limitano lo sviluppo di questo genere di armi.
Nel video che segue di WION abbiamo una sintesi della situazione come descritta nell’articolo di Vanity Fair.
Video WION
Notiamo che alcuni ricercatori della struttura sanitaria di Wuhan erano stati impegnati nella ricerca attiva di campioni altamente contagiosi di virus della categoria SARS, prelevandoli dalle grotte in cui hanno avuto storicamente origine e che si trovano a centinaia di chilometri di distanza da Wuhan.
Vediamo che questa attività altamente pericolosa è avvenuta prima dello scoppio della pandemia ed è stata documentata dalla stessa televisione ufficiale cinese.
Già questo tipo di comportamento potrebbe essere sufficiente a dare il via a un contagio su vasta scala considerando le condizioni di lavoro molto precarie in cui questi ricercatori si sono trovati a lavorare per diversi giorni di fila.
Questa è la tesa promossa recentemente da Peter Ben Embarek, il ricercatore dell’OMS che ha guidato l’indagine dell’OMS a Wuhan lo scorso febbraio.
Durante un documentario organizzato da una televisione danese, Embarek ha dichiarato: “Da principio, [i ricercatori cinesi] non volevano che nel rapporto comparisse nessuna menzione del laboratorio, perché ritenevano che fosse impossibile che il virus fosse sfuggito da lì, perciò non valeva nemmeno la pena perderci tempo. Noi abbiamo insistito affinché fosse incluso perché faceva parte dell’intera questione su quale fosse l’origine del virus. I cinesi accettarono che il laboratorio fosse menzionato, a condizione che non fosse raccomandata alcuna ulteriore indagine sul laboratorio stesso”.
Vediamo anche come Anthony Fauci, dopo aver fatto di tutto per sminuire l’ipotesi del laboratorio sia ora possibilista al fine di difendere la propria posizione e far passare inosservato il fatto che la sua stessa agenzia ha contribuito a finanziare questo genere di ricerca stando a quanto documentato in una relazione pubblicata nel 2015 da Shi Zhengli, ricercatrice capo a Wuhan, e dal Ralph Baric, suo mentore e capo della ricerca gain-of-function all’università della North Carolina. Il documento è stato portato alla luce dal gruppo DRASTIC.
Fin dall’arrivo del SARS-CoV-2 e della malattia da esso generata, il COVID 19, diversi esperti hanno dichiarato trattarsi di un virus manipolato in laboratorio. Ci sono solo tre laboratori nel mondo che conducono ricerche gain-of-function: il Whuan Institute of Virology, il laboratorio di Galveston in Texas e il laboratorio di Chapel-Hill in North Carolina, perciò è logico arrivare alla conclusione che il COVID-19 sia emerso dal laboratorio di Wuhan, considerando che ancora oggi, a distanza di almeno 20 mesi dall’inizio della pandemia, non è stata trovata nessuna fonte naturale documentata.
Il Dr. Richard Ebright, professore di chimica e biochimica alla Rutgers University statunitense, è una delle voci fuori dal coro nel mondo universitario americano. Secondo lui, la mancanza di trasparenza sulle origini del COVID 19 è giustificata dall’omertà imposta dal potere economico di EcoHealth Alliance, che distribuisce fondi a moltissimi istituti di ricerca attingendo a sua volta dall’NIH e dall’NIAID.
Peter Daszak può chiudere la bocca a molte persone sul fronte internazionale, lavorando in abbinamento al governo di Pechino che ha cercato di oscurare qualsiasi informazione utile sull’argomento fin dall’inizio.
Inoltre, come dice Ebright, il modello seguito da Daszak era estremamente pericoloso perché consiste nel portare in città molto popolate virus che si trovano in aree periferiche dove le possibilità di contagio sono minime. Ebright ha descritto tale approccio come “cercare una fuga di gas con un fiammifero acceso”.
Questo insieme di informazioni e altre ricerche condotte direttamente, hanno portato il senatore repubblicano Rand Paul ad accusare Anthony Fauci di aver mentito davanti al Congresso quando ha dichiarato di non aver mai finanziato ricerche gain-of-function nel laboratorio di Wuhan.
Rand Paul oltre ad essere un senatore è un anche un medico. Nel video che segue vediamo lo scambio di battute tra lui ed Anthony Fauci durante una seduta senatoriale del 20 luglio scorso.
Nella sua accusa, Rand Paul menziona il fatto che il virus SARS-CoV-2 contiene particolari proteine denominate Spike (forma di una picca) innestate sulla dorsale o corpo del virus che facilitano l’ingresso del nuovo virus nelle cellule.
Video Rand Paul
Ora viene da chiedersi per quale motivo una rivista del mainstream di sinistra come Vanity Fair abbia dato nuova vita alla teoria del laboratorio che era stata seppellita da tutti i mainstream e social media dopo che Trump l’aveva proposta durante una conferenza stampa del 17 aprile 2020. In quell’occasione Trump aveva anche dichiarato che avrebbe sospeso un finanziamento di $ 3,7 milioni che sarebbe dovuto passare dall’NIH al laboratorio cinese.
Tale sospensione aveva suscitato una levata di scudi nel mondo scientifico che si era raccolto a difesa di Peter Daszak che veniva dipinto come una persona meravigliosa il cui unico interesse era di proteggere il genere umano.
Leggendo attentamente l’articolo di Vanity Fair notiamo che uno spazio importante è dedicato ad attaccare Donald Trump, come di solito, che viene accusato di aver tolto credibilità all’ipotesi della fuga di laboratorio per il solo fatto di averne parlato. E che quindi la stampa e il mondo scientifico l’avevano scartata solo perché era stata appoggiata da Trump e quindi doveva necessariamente trattarsi di una teoria xenofoba.
Ma leggendo attentamente nell’articolo vediamo altri riferimenti importanti.
La collaborazione dell’istituto di virologia di Wuhan e gli scienziati militari cinesi va avanti da 20 anni con 51 documenti scientifici realizzati congiuntamente. Un libro pubblicato a Hong Kong dal titolo “Origini non naturali della SARS e nuove specie di virus creati dall’uomo come armi biologiche” sostiene che la prima versione del SARS sia stata creata da terroristi utilizzando tecniche di manipolazione genetica. Il libro è stato realizzato da 18 autori e revisori, 11 dei quali lavorano all’università medica dell’aviazione cinese.
Uno di questi autori ha collaborato con i ricercatori di Wuhan nella produzione di 12 documenti scientifici.
Il filone dell’arma biologica viene tuttavia prontamente classificato da Vanity Fair come teoria complottista e quindi scartato per concentrarsi nuovamente sul concetto di fuga accidentale. Vanity Fair omette di commentare che il libro è considerato un testo di riferimento il generale Xu Dezhong
Recentemente un’altra testata di sinistra, The Intercept, storicamente ostile a Trump, ha pubblicato un altro articolo il 9 di settembre basato su documenti ottenuti dal National Institutes of Health.
L’articolo sostiene che i documenti forniti dimostrano che l’NIH abbia effettivamente finanziato ricerche di tipo gain of function presso il laboratorio di Wuhan. L’affermazione è basata sul parere di 11 scienziati consultati dalla testata giornalistica.
Le regole per la concessione del finanziamento da parte dell’NIH stipulavano chiaramente che i fondi non potevano essere utilizzati per ricerche gain of function e il direttore dell’NIH, Francis Collinis, assieme ad Anthony Fauci, ha negato categoricamente che le due agenzie abbiano finanziato esperimenti di questo genere.
Gli scienziati consultati escludono che i virus citati negli esperimenti descritti nei documenti abbiano dato origine alla pandemia visto che hanno caratteristiche differenti rispetto al SARS-CoV-2 che tuttavia, lo ricordiamo, non è mai stato isolato nella sua forma originale e perciò diventa impossibile fare confronti.
In ogni caso mi documenti dimostrano che Fauci ha probabilmente mentito, benché nell’articolo si cerchi di scagionarlo dicendo che non è dimostrato che lo sapesse.
La reazione a questi nuovi documenti, pubblicati per rafforzare l’idea della fuga da laboratorio e per comunque scagionare Fauci in modo indiretto, hanno comunque mobilitato diversi parlamentari repubblicani che ora vogliono sottoporre Fauci a una vera e propria inchiesta.
Qui vediamo un’intervista del senatore Tom Cotton, che è stato il primo nel Congresso degli Stati Uniti ad avanzare la teoria che la pandemia COVID-19 provenisse dal laboratorio di virologia di Wuhan.
Video di Tom Cotton
Richard Ebright, membro del gruppo DRASTIC; ha le idee molto chiare sul fatto che Fauci abbia mentito e che, senza autorizzazione dei suoi superiori e della Casa Bianca ai tempi di Trump, abbia finanziato esperimenti altamente pericolosi in un laboratorio già ritenuto insicuro durante un’ispezione condotta nel 2018 dal Department of State americano.
Inoltre Cotton si spinge oltre rispetto a Rand Paul, accusando più direttamente Fauci e il suo capo Collins di essere corresponsabili dello scoppio della pandemia.
Con l’attuale clima politico, è quasi impossibile che Anthony Fauci sia effettivamente sottoposto a indagine, ma queste nuove rivelazioni intaccano comunque l’intera narrazione che circonda il COVID-19.
Roberto Mazzoni
Altre fonti
https://www.who.int/csr/resources/publications/CDS_CSR_ARO_2004_2.pdf?ua=1
https://theintercept.com/2021/09/09/covid-origins-gain-of-function-research/